21 Novembre 2024

da Cronista di Strada del 23 ottobre 2022 – di mario Fortunato

Figlia di profughi albanesi, ritorna in Italia per curare gli ammalati di Covid. Una bellissima storia scritta nei giorni più brutti della pandemia che dovrebbe far riflettere chi ha una palla di piombo al posto del cuore.

Bari 1991: “Sono persone, noi siamo la loro unica speranza’”

Lombardia 2020: “L’Italia ci ha salvato, ora tocca a noi”

Eroi di un mondo che si pensava perduto

(APRILE 2020 – Tratto dal libro ‘Pianto di primavera’, pagine 123 e 124)

“Ci ha commosso, qualche sera fa, vedere in tv una giovane anestesista che ha lasciato i genitori e il marito, in Albania, per correre in aiuto agli amici della Lombardia. Accolti dalle massime Autorità, con in testa il Ministro degli Esteri Di Maio e accompagnati dalla fanfara militare, i medici che hanno risposto all’appello sono stati trasferiti in ospedale per i test di rito e, successivamente, smistati nei vari nosocomi per essere subito operativi.

Alma Neco, 29 anni, di Valona, è stata inviata all’Ospedale civile di Brescia: in pratica, in trincea. È partita con entusiasmo per dare il suo contributo. «Ho scelto di specializzarmi come anestesista per sottrarre le persone dalla morte, per restituire l’anima a chi se ne sta andando» ha detto al termine di un massacrante turno di lavoro. La morte i suoi genitori la videro in faccia, in quell’estenuante viaggio sulla nave che, negli anni 90, da Valona li portò sulle coste dell’Adriatico. Erano due giovani ingegneri appena sposati e facevano parte di quelle decine di migliaia di profughi che fuggivano dalla dittatura instaurata nel loro Paese dopo il Crollo del Muro di Berlino.

Lei nacque a Milano, dove i suoi genitori avevano trovato ospitalità, e frequentò l’asilo a Codogno, proprio dove è scoppiato il primo focolaio che ha sconvolto l’Italia. Poi, quando la situazione si tranquillizzò, tornarono in Albania per aprire un’attività commerciale. La ragazza ha studiato con profitto e realizzato i suoi sogni, essendo al quarto anno di specializzazione. Negli anni scorsi è stata a Bologna, per partecipare al progetto Erasmus, e a Milano dove ha fatto tre mesi di specializzazione all’ospedale San Raffaele. «L’Italia mi ha dato tanto e ho trovato doveroso restituire qualcosa» ha detto sorridendo e aggiungendo che, quando sarà possibile, andrà a salutare volentieri i vecchi amici di Lodi”.

Anche questa bella storia rientra nel ricco faldone creato dall’umanità del sindaco Enrico Dalfino che meriterebbe di essere candidato al Nobel per la Pace insieme alle persone e ai luoghi che da anni aprono le porte dell’accoglienza.

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