21 Novembre 2024

“Personaggi, avvenimenti, luoghi del nostro Sud”

rubrica a cura di Vincenzo Ciorciari

Qualche ricordino sul Meridione di una volta, non originato da ingiustificate ed antistoriche nostalgie ma per memoria di cose fatte quando eravamo capaci non solo di farle, ma di farle in un certo modo e in un certo tempo, di quando il Sud era Nord o forse di quando il Nord era al Sud, di quando eravamo e tenevamo quanto oggi non siamo e non teniamo. Tutto il resto è materia di storici e non di innamorati della mia terra come me: gli innamorati sovente sono bugiardi, imparziali, testardi e … finiamola qui. In questa terra vi è il Teatro San Carlo, già Real Teatro di San Carlo (Teatro Nazionale nel breve corso della Repubblica Partenopea del 1799), inaugurato appena 285 anni fa, qualcosa meno di quanti ne stiamo aspettando perché venga ultimata, e non certo definitivamente, l’autostrada SA-RC, quindi qualche riga per invogliare ad approfondire, o comunque a ricordare, la storia di tale monumento dell’Arte non fa male.

Con pianta a ferro di cavallo ripresa dall’antichità e modello per tanti in Europa, è il più antico teatro operante del mondo e il più capiente in Italia con 1379 posti, inaugurato il 4.11.1737 con Achille in Sciro, musica di Domenico Sarro (gli si corrisposero 220 ducati) e libretto di Pietro Metastasio, mentre il Teatro alla Scala di Milano fu inaugurato, 3.8.1778, dopo 41 anni e la Fenice dopo 55. Su progetto di Giovanni Antonio Medrano, brigadiere dei reali eserciti, fu costruito dallo stesso e da Angelo Carasale in appena 270 giorni per un costo complessivo di 75.000 o, secondo altri, di 100.000 ducati, e ugualmente rapida la ricostruzione in soli nove mesi dalla distruzione totale per un gravissimo incendio nella notte del 12.2.1816 e da tale restauro si ottenne, fra l’altro, una sala interna portata da 1379 a ben 2600 posti.

Ne guadagnò in somma maniera l’acustica portata ai massimi livelli, grazie a vari accorgimenti adottati perfino nei dettagli in ordine alle decorazioni e ai materiali per le stesse utilizzati, ma specialmente per una “trovata”. Fu genialità aumentare l’alteza del soffitto e coprirlo con la tela di Antonio, Giovanni e Giuseppe Cammarano (500 mq. che narrano Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del mondo) e con essa si ottenne il risultato come se il soffitto si fosse trasformato in un gigantesco tamburo dai conseguenti effetti armonici propagantisi in tutto l’ambiente.

Successivamente, perché venisse migliorata oltremodo l’acustica e il pubblico non venisse distratto nella fruizione dello spettacolo nemmeno dai movimenti dell’orchestra, questa venne collocata nella fossa che su suggerimento di Verdi fu costruita nel 1872 e fu detta Golfo mistico.

Si successero autori di fama internazionale, dal Gluck (con La clemenza di Tito, prima assoluta del 1752) a Bach (con Catone in Utica ed Alessandro nelle Indie, prime assolute del 1761 e 1762) e fu visitato da altri illustrissimi musicisti che rendevano omaggio a quel tempio della musica come autori o illustri ospiti, fra i quali Händel, Haydn, Mozart. Paganini, Bellini, Mercadante.

Mozart per alcuni si trovò nella città nel 1778, lo stesso anno della inaugurazione del Teatro alla Scala di Milano, per sottolineare che allora anche il Fato amava Napoli, ma si trattò di ben otto anni prima, come testimonia anche il titolo del dipinto di Pietro Fabris (Concerto in casa di Kenneth Mackenzie, Lord Fortrose– Napoli 1770- Scottish National Gallery, Edimburgo) che lo ritrae con il padre nella casa dell’ambasciatore britannico Hamilton, amico del clavicembalista Mackenzie. Comunque dubbi non vi sono che abbia allora detto: “Quando avrò composto un’opera per Napoli mi si ricercherà ovunque: con un’opera a Napoli ci si fa più onore e credito che non dando cento concerti in Germania”.

Per non dilungare, preme dar conto di quante e quali figure di prestigio si siano alternate solamente nel Novecento su quel glorioso palco.

Oltre le figure di primissimo piano mondiale dei direttori o sovrintendenti quali Paisiello nel 1787, Rossini nel 1815/1822, Donizetti nel 1822/1838, si ricordino in ordine alfabetico:

i direttori d’orchestra Abbado, Bellezza, Bernstein, Böhm, Busoni, Celibidache, Cluytens, De Sabata, Fricsay, Furtwängler, Gavazzeni, Giulini, Gui, Knappertbusch, Luisi, Mehta, Mitropoulos, Muti, Oren, Santini, Sawallisch, Scherchen, Serafin, Sinopoli, Strauss Richard, Stravinskij, Toscanini, von Karajan ed altri;

i cantanti Bruson, Caballè, Callas, Caniglia, Cappuccilli, Carreras, Caruso, Corelli, Cossotto, Dal Monte, Del Monaco, De Lucia, Di Stefano, Domingo, Freni, Gencer, Gigli, Kabaivanska, Kraus, Lauri-Volpi, Nucci, Olivero, Pavarotti, Schipa, Simionato, Stignani, Tagliavini, Tebaldi ed altri;

i musicisti Accardo, Arrau, Benedetti Michelangeli, Casals, Ciccolini, du Prè, Heifetz, Kreisler, Kremer, Maisky, Pollini, Rubinstein ed altri.

Per quanto riguarda l’approfondimento sulla storia del Teatro, nonché sull’architettura, sull’arredamento, sull’acustica, sull’Orchestra, sul Corpo di ballo e su quant’altro ne ha fatto una gemma dell’arte, basti iniziare con Stendhal (Roma, Napoli e Firenze nel 1817) che, presente all’inaugurazione successiva all’incendio del 1816, anticipa quanto si possa trovare nella bibliografia e nella rete con queste parole: “Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita. Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea … Chi volesse farsi lapidare, non avrebbe che da trovarvi un difetto”.

Si potrebbe chiudere con qualche curiosità, ad esempio che in ogni palco fu collocato uno specchio in modo da riflettere il palco reale perché solo il re –in sua mancanza la regina o in mancanza il principe di Maddaloni o in mancanza quello di Sirignano e così via- poteva iniziare ad applaudire o chiedere il bis e, stranamente in quella monarchia assoluta, il loggione aveva piena libertà di comportarsi a suo piacimento: non sarà che l’arte non sopporta catene in nessun luogo e di nessuna natura mai?

Nel 1980 nel corso di lavori si scoprì che lo stemma dei Savoia aveva coperto quello del Regno delle Due Sicilie posto sotto l’arco del proscenio e fu ripristinato quello di chi volle il Teatro. Infine, c’è chi ci tiene a sottolineare che non furono mai sospese stagioni, ad eccezione del biennio 1874-76, per gli indispensabili contributi che non arrivarono … ma siamo già con i lungimiranti, illuminati ed onesti monarchi Savoia, i quali nelle nostre preghiere terrone non dimenticheremo mai di ringraziare e raccomandare all’Eterno … affinchè continuino a recitare nei teatri a loro più congeniali.

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