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7 Maggio 2025

a cura di Francesco Sampogna

“Mio padre l’immigrante” 
Il tuo villaggio sulla collina rotonda sotto l’aria del grano;
di fronte al mare con pescatori nell’aurora,
innalzava torri e ulivi argentati.
Scendevano per il prato i mandorli della primavera,
il contadino come un giovane profeta,
e la pastorella col viso incorniciato da un fazzoletto.
E saliva la donna dal mare con una fresca cesta di sardine.
Era una miseria allegra sotto l’azzurro eterno,
con i piccoli venditori di ciliegie nelle piazzette,
con le fanciulle attorno alle fontane
rumorosamente agitate dalla brezza dei castagni,
nella penombra con scintille del fabbro,
tra le canzoni del falegname,
tra i forti scarponi chiodati
e nelle stradicciole dai ciottoli consunti,
dove passeggiano anime del purgatorio.
Il tuo villaggio andava solitario sotto la luce del giorno,
con antichi noci dall’ombra taciturna,
accanto al ciliegio, al fico e all’olmo.
Nei suoi muretti di pietra le ore trattenevano
i loro segreti riflessivi vespertini,
e all’anima s’accostavano i flauti del ponente.
Tra il sole e i suoi tetti volavano i colombi.
Tra l’essere e l’autunno passava la tristezza.
Il tuo villaggio era solo come alla luce d’una favola,
con ponti, zingari e fuochi nella notte di silenziosa neve.
Dall’azzurro sereno chiamavano le stelle,
e al fuoco familiare, circondato di leggende,
giungevano le feste di Natale,
con pane e miele e vino,
con forti montanari, caprai e lagnaioli.
Il tuo villaggio s’accostava ai cori del cielo,
e le sue campane andavano verso le solitudini,
dove gemono i pini nel vento del gelo. 

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