“Mio padre l’immigrante”
a cura di Francesco Sampogna
“Mio padre l’immigrante” Il tuo villaggio sulla collina rotonda sotto l’aria del grano; di fronte al mare con pescatori nell’aurora, innalzava torri e ulivi argentati. Scendevano per il prato i mandorli della primavera, il contadino come un giovane profeta, e la pastorella col viso incorniciato da un fazzoletto. E saliva la donna dal mare con una fresca cesta di sardine. Era una miseria allegra sotto l’azzurro eterno, con i piccoli venditori di ciliegie nelle piazzette, con le fanciulle attorno alle fontane rumorosamente agitate dalla brezza dei castagni, nella penombra con scintille del fabbro, tra le canzoni del falegname, tra i forti scarponi chiodati e nelle stradicciole dai ciottoli consunti, dove passeggiano anime del purgatorio. Il tuo villaggio andava solitario sotto la luce del giorno, con antichi noci dall’ombra taciturna, accanto al ciliegio, al fico e all’olmo. Nei suoi muretti di pietra le ore trattenevano i loro segreti riflessivi vespertini, e all’anima s’accostavano i flauti del ponente. Tra il sole e i suoi tetti volavano i colombi. Tra l’essere e l’autunno passava la tristezza. Il tuo villaggio era solo come alla luce d’una favola, con ponti, zingari e fuochi nella notte di silenziosa neve. Dall’azzurro sereno chiamavano le stelle, e al fuoco familiare, circondato di leggende, giungevano le feste di Natale, con pane e miele e vino, con forti montanari, caprai e lagnaioli. Il tuo villaggio s’accostava ai cori del cielo, e le sue campane andavano verso le solitudini, dove gemono i pini nel vento del gelo.