21 Novembre 2024

rubrica a cura di Vincenzo Ciorciari

Il più grande d’Italia e del Mediterraneo, alla fine del ‘700 arrivò a contare 2006 unità e diventò la prima industria navale in Italia per numero di operai, il primo nel Mediterraneo per grandezza e in grado di sostenere la concorrenza di quelli di Londra e di Anversa.

Il Real Cantiere di Castellammare, ordinato da Ferdinando IV con un Real Dispaccio nel 1780 e con iniziale stanziamento di 70.000 ducati, venne inaugurato, 20.6.1783, dal Ministro della Marina e Segretario di Stato Giovanni Edoardo Acton che affidò la direzione dei lavori all’ingegnere francese Antonio Imbert, coadiuvato dall’ingegnere Bianchini.

Non a caso fu destinata un’area dove sorgeva il convento dei Carmelitaniinnanzitutto per il recupero quanto possibile di strutture e attrezzature cantieristiche esistenti già dal XVI secolo e la scelta assieme ad altre oculatezze contribuì alla fortuna del Cantiere: non solo le acque minerali, abbondanti e utilissime nel processo della stagionatura del legname proveniente dai boschi demaniali della località Quisisana e di altre del Monte Faito, tanto che per la bisogna furono costruite grandi vasche, ma anche la facilità di comunicazione con una città che era praticamente ancora capitale, per cui anche con l’Unità e per un certo periodo nel Cantiere l’attività non rallentava grazie soprattutto al superiore livello di professionalità raggiunto dalle maestranze impiegate.

Questa cornice diveniva sempre più propizia e favorevole all’attività cantieristica sia per la costruzione a meno di una decina d’anni dopo dello Stabilimento Produzione Cordami originatosi dalla Corderia di Castellammare, la corderia più antica d’Italia nata nel 1796, sia per la creazione della Scuola di Applicazione del Genio Navale.

Aggiungasi la vicinanza della Reggia di Quisisana che invogliava a passeggiare per le vie di Castellammare, quindi a residenziare se stessi con famiglie e dispacci ufficiali, i consoli di Austria-Ungheria, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Norvegia, Olanda, Paesi Bassi, Paraguay, Portogallo, Russia, Sardegna, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Turchia.

Nel 1786 uscirono dal cantiere le prime imbarcazioni, la corvetta Stabia, 13 maggio, e il vascello Partenope, 16 agosto, quindi la fregata Pallade e la corvetta Flora e seguirono, dopo l’ampliamento voluto da Gioacchino Murat, il vascello Capri, 1810, il Gioacchino, 1811 (o 1812), il Vesuvio, 1824. Sotto Francesco I è da annotare la fregata Isabella, 1827, il brigantino Principe Carlo e la nave reale Francesco I, 1828.

Successivamente, anche con l’avvento delle navi a vapore e con il regno di Ferdinando II, prima, e di Francesco II, poi, le “nascite” furono ugualmente prestigiose come notasi dal seguente elenco alfabetico senza citarne la categoria e l’anno del varo, con riserva di menzionare in altri articoli quelle che rappresentino un certo “primato”: Archimede, Argonauta, Borbone, Carlo III, Cristina, Delfino, Eolo, Ercole, Erebo, Etna, Ettore Fieramosca, Finanza, Finanza detto il Nuovo, Furia, Generoso, Maria Teresa, Monarca, Regina Isabella, Sannita, Tantalo, Torquato Tasso, Urania, Vulcano, Zeffiro mentre va evidenziato che con l’avvento dei Savoia si badò pure a cambiare il nome a quelle che erano già in costruzione, cioè Farnese in Italia e Borbona in Giuseppe Garibaldi.

Lo sviluppo costante del Cantiere richiedeva, per necessità e convenienza allo stesso tempo, una serie di finanziamenti successivi, come quello importante del 1839 di circa 350.000 ducati utilizzati per l’ampliamento dello spazio operativo in cui venne compresa anche la zona di Portopennello, con la conclusione dei lavori nel 1842.

Di non minore utilità fu una oculata programmazione con vista futuro che portò a dotare il Cantiere di tre scali maggiori con relativi avantiscali, grazie ai quali si poteva effettuare il varo in interno-porto e non in mare aperto con evidenti vantaggi, non ultimo quello di sfruttare gli argani collocati su muratura per l’alaggio o rimorchio delle imbarcazioni su terraferma, manovre con notevole risparmio di forza lavoro, di tempo e di rischi per ogni necessaria riparazione o manutenzione.

Insomma si conobbe un apprezzabile ampliamento per meglio attendere alla costruzione di navi in ferro che si sarebbero imposte: … l’unico cantiere in Italia in grado di ricostruire la flotta è quello di Castellammare, fu il riconoscimento ufficiale più prestigioso e venne dall’ingegnere Giuseppe Colombo, fondatore del Politecnico di Milano, successivamente alla sconfitta, 1866, della flotta italiana a Lissa.

Con il varo, 8.5.1876, della corazzata Duilio, progettata da Bernardo Brin, assistiamo in un certo senso al canto del cigno e, per diradare la tristezza storica, due aneddoti: al momento del varo l’ambasciatore cinese si gettò bocconi a terra, non per malore ma per l’emozione e visibilmente commosso: Ho ringraziato Buddha per avermi chiamato ad assistere ad uno spettacolo così commovente e grandioso mentre quello statunitense rimase sbalordito dall’imponenza del Duilio, sicuro che, si dice ammettesse, da solo avrebbe potuto distruggere l’intera flotta del suo Paese.

Per finire in bellezza, arrivarono i Savoia e di immediato si diedero al loro sport favorito, quello nel quale eccellevano: quanto non potessero portarsi lassù si impegnavano a distruggere quaggiù e infatti anche questa eccellente attività venne messa in “quarantena” pre-ridimensionamento come testimonia con dolore Pietro Calà Ulloa, ultimo Presidente del Consiglio dei Ministri borbonico, in Lettere napolitane, Roma 1864: Gli spiriti, allorché il governo decretò la chiusura degli arsenali, e dei cantieri, erano di già molto inaspriti. La flotta fu condotta a Genova, il cantiere di Castellammare soppresso, tutto il personale licenziato. Gli arsenali di terra, ov’erano state depositate tante ricchezze militari; furono saccheggiati senza vergogna e senza riguardo, 250,000 fucili, e tutti i cannoni di bronzo degli arsenali, e delle piazze furono spediti in Piemonte. Dopo la caduta di Gaeta, il saccheggio e la distruzione non conobbero più limiti. I palazzi di Napoli, di Capodimonte, di Portici, di Caserta e della Favorita, ricche di tante magnifiche opere di arte, divennero le spoglie opime di Torino e dei Verri, che venivano in l’un dopo l’altro ad occuparvi a breve intervallo le funzioni di proconsoli.

Tralasciamo tristezza e rabbia per il criminoso e deliberato declino inflitto al Cantiere e consoliamoci per l’ineguagliabile gioiello uscito grazie al genio del modellista navale ufficiale dei Cantieri Navali di Stabia Michele Filosa: il veliero Amerigo Vespucci varato il 22.2.1931.

Né una parola sulle caratteristiche tecniche e ingegneristiche, basta ricordare come sia ritenutala nave più bella del mondo,titolo non nato da esagerato sciovinismo ma dal riconoscimento tributato da chi di navi se ne intendeva: nel 1962 il veliero solcando il Mediterraneo incrociò la portaerei americana USS Indipendence e da questa fu chiesto con il segnalatore luminoso: Chi siete, fu risposto: Nave Scuola Amerigo Vespucci della Marina Italiana e gli americani: Siete la più bella nave del mondo.

La più bella ma anche la più anziana nave della Marina Militare tuttora in servizio continuando ad addestrare gli allievi dell’Accademia Navale di Livorno e della Scuola Navale Militare “Francesco Morosini” di Venezia. Tracce della lunga “carriera” della nave si scoprono nei tre motti che ha avuto: Per la Patria e per il Re dal 1931 al 1946, Saldi nella furia dei venti e degli eventi dal 1946 al 1978, Non chi comincia ma quel che persevera dal 1978. 

Perseverare anche da parte mia, con bastante ambizione certo, è ciò che mi impongo nel cercare e comunicare notizie tenute un po’ in penombra, per non dire altro, su tanta Storia meridionale.

Immagini:

J. P. Hackert – Cantiere navale di Castellammare

Nautipedia – Cantiere navale di Castellammare

A.L. Ducros – Varo

A.L. Ducros – Varo

A.L. Ducros – I cantieri

G. Fontana – Varo della “Duilio”

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