Aldo Moro. La barbarie lo rese Eroe, la politica lo abbandonò
rubrica a cura di Vincenzo Ciorciari
Dalla chiara figura di studioso e docente a quella illustre di politico e statista Aldo Moro viene ricordato con mille e più commemorazioni ma spontanea una considerazione brutale: quanti politici, comunicatori, saggisti e storici che, appena deflagrata la notizia, si pronunziarono sulla sua tragica fine merita(va)no essere ricoverati al Pronto Soccorso della Storia e lasciati in quarantena per i luoghi comuni, le banalità, le falsità in buona o in mala fede con cui riuscirono a infettare noi indifesi lettori e cittadini!
Abbozzare una biografia di Moro, per quanto sintetica, e “copiare” dal tonnellaggio di pubblicazioni sulle cause che scatenarono il sequestro, sulle intenzioni e sull’autoria di coloro che bloccarono o deviarono le indagini per scoprire mandanti e contropartite guadagnate con il loro comportamento non si addice al disegno di questo articoletto.
Generalmente si fa partire da quel compromesso storico che Enrico Berlinguer proponeva in Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile nelle pagine di Rinascita del 28 settembre, del 5 e del 12 ottobre del 1973: la proposta malaccolta dal PSI veniva caldeggiata dall’area sinistra DC guidata da Moro presidente e Zaccagnini segretario per cui si arrivò, 1976, all’appoggio esterno del PCI al governo Andreotti IV. Si dimise questro governo nel 1978 e se ne formò uno nuovo con lo stesso Andreotti e proprio nel giorno del dibattito sulla fiducia, 16.3.1978, fu rapito Moro.
Da quel momento abbiamo assistito negli anni all’abbuffata irresponsabile, per certi versi delinquenzial-criminale, di un notiziume su presunti “progressi nelle indagini”, su chiarificanti rivelazioni di presunti “responsabili e mandanti”, su imminenti comunicazioni di presunte “verità definitive” ma sono passati 43 non presunti lunghi anni e tutte quelle presunzioni permangono tuttora presunte.
Si lascia in ammollo eterno ogni problema scottante, meglio dire che vi siamo stati costretti ad abituarci dai nostri capitribù i quali alternativamente seppelliscono i loro misfatti e scavano fino al centro della terra per portare alla luce quelli altrui. E noi? Confusi su quali delitti siano più efferati e tragici, quelli neri o quelli rossi, e in attesa del responso della Storia pigra e ritardataria non perdiamo tempo e diamo il nostro meglio nell’insultarci e nell’accapigliarci.
Dipende dall’onda politica emotiva del momento e dagli interessi superiori dei giostrai che nel “Parco Gioco Italia” fanno il bello e il cattivo tempo, lasciandoci il libero arbitrio delle invalidanti farneticazioni su un certo episodio, sicuri che queste dureranno il breve lasso di tempo della commemorazione e così sarà anche per Aldo Moro.
Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi diceva quando aiutava se stesso a trovare il coraggio necessario nella sua attività di politico e di maestro. Sapremo noi trovare il coraggio di perdere la più grossa paura che grava sull’Italia, quella di prospettare verità terrificanti e di accettare conseguenze purificanti sulle tragedie che hanno alluttato l’intera nazione?
Con lo statista caddero i cinque uomini della scorta (Raffaele Iozzino di 25 anni, Oreste Leonardi di 52 anni, Domenico Ricci di 44 anni, Giulio Rivera di 24 anni, Francesco Zizzi di 30 anni) che lasciarono la vita sull’asfalto di Via Fani e allora l’altro interrogativo pure esso senza risposta: perchè non trovarono il coraggio della vergogna tanti “alti” rappresentanti dello Stato che hanno saputo riconoscersi, questo sì, per ogni legislatura ricompense tanto alte che quei “bassi” rappresentanti dello stesso Stato, lasciati a difenderlo a costo della vita e dell’inconsistenza della memoria di tanta politica, non avrebbero visto in tutta la loro vita … avessero campato pure cento anni?
Considerazione che rimanda alla “barbarie” del titolo ma non solo quella esecrata nelle dichiarazioni pubbliche della politica, denunziata sui giornali e affissa sui manifesti, sentita e sofferta dal popolo tramortito dall’avvenimento ma ancora non informato della ragnatela velenosa di “manovre” che vere o false sono andate affiorando nel corso degli anni.
Cosa scriveva lo stesso Moro alla moglie Eleonora Crivelli nella lettera che le fu recapitata il 5 maggio a quattro giorni della morte? Mia dolcissima Noretta (…) Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della D.C. con il suo assurdo ed incredibile comportamento. Essa va detto con fermezza così come si deve rifiutare eventuale medaglia che si suole dare in questo caso. E’ poi vero che moltissimi amici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall’idea che il parlare mi danneggiasse o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono mossi come avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare. E questo è tutto per il passato (…) Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta. Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo.
Di ciò quanto criptico richiamo vi è nel discorso di insediamento alla presidenza della Repubblica (9.7.1978, a 2 mesi dall’assassinio) che pronunziava Sandro Pertini? Ed alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un amico a noi tanto caro, di un uomo onesto, di un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura: Aldo Moro. Quale vuoto ha lasciato nel suo partito e in questa assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi.
Quando i grandi si interrogano sui grandi o sul loro destino tragico, pur conoscendone le risposte, lasciano le domande sospese perchè il Popolo non trascuri conservarne e studiarne la memoria soprattutto per trovare da soli risposte non preconfezionate, come in questo caso, che accrescono i dubbi, le incertezze, le inconfessate sicurezze sul “buco nero” di grottesche itale deviazioni.
Una sequenza di interrogativi in questa nota, tanto per cambiare in un Paese dove continuamente ci domandiamo su tutti e su tutto e dove restiamo a domandarci fino a quando avremo forza, coraggio e voglia di porre domande … a noi stessi perchè ognuno di quelli di lassù ci rispondono: Moro, ma nun t’o dico, la lugubre battuta sul silenzio che sorse spontanea nel popolo al constatare la tragedia che faceva precipitare l’Italia nel baratro, quel citato buco nero i cui assordanti silenzi di risposte date da coloro che “comandavano” definitivamente divorarono qualcosa della nostra civiltà.
Seguono divorando da quando lo lasciarono solo nelle mani degli aguzzini, fino a quando non sapremo chi furono le menti degli aguzzini … “eppur si muove” da tempo nel pensiero del popolo un cumulo di sospetti, per alcuni già certezze, che le cose andarono esattamente in questo modo … come ogni cittadino vorrebbe sentirsi dire dalla Voce unica e vera dello Stato la Verità incontrovertibile e inappellabile sul caso Moro!