MARIO PAGANO, “IL PLATONE DI NAPOLI” ILLUSTRE ED EROICO FIGLIO DI BRIENZA
“Personaggi, avvenimenti, luoghi del nostro Sud” – rubrica a cura di Vincenzo Ciorciari
Il 29 ottobre 1799 sulla forca eretta in Piazza Mercato a Napoli perde la vita Francesco Mario Pagano, della vicina Brienza (allora nel Principato Citra e poi nel Giustizierato di Lucania), prestigiosa figura di politico, giurista, filosofo e autore di teatro. In una famiglia di giuristi e di notai che si nutre di diritto da colazione a cena, non ha difficoltà nell’eccellere anche in questo “mestiere” che, per inclinazione naturale e per dottrina, sì egregiamente espliciterà da meritarsi il soprannome
de il Platone di Napoli e quì, quattordicenne alla morte del padre, viene mandato dalla famiglia per seguire gli studi fino all’Università sotto la guida del precettore privato Don Gherardo Degli Angeli e quindi allievo di Antonio Genovesi ed amico di Gaetano Filangieri.
Per conoscere il personaggio aiuta un’ampia bibliografia facilmente accessibile, quì riporto soltanto qualche data per evidenziare momenti ed episodi che ne hanno disegnato l’esistenza: 1768, si laurea in Giurisprudenza; 1770, gli viene conferita la cattedra di etica all’Università di Napoli; 1785, quella di diritto criminale alla stessa Università; 1796, conosce il carcere perchè accusato falsamente di corruzione; 1798, scarcerato, si rifugia a Roma e fa parte della Repubblica Romana dalla quale gli viene offerta la cattedra di diritto pubblico; 1.2.1799 ritorna a Napoli partecipando in prima linea a quel sogno presto soffocato che fu la Repubblica Partenopea, a seguito della fuga di Ferdinando IV a Palermo,e ricevendo dal generale francese Championnet la nomina a membro del direttorio provvisorio per poi diventare presidente del comitato di legislazione.
Caduta la Repubblica, viene arrestato e passa da Castel Nuovo a Castel Sant’Elmo al patibolo. Il boia che prende in consegna la sua vita sul palco e le autorità che ve lo conducono per eliminare una delle intelligenze più seducenti del Meridione troncano, sì, una vita di 51 anni, ma decretano che la fama, guadagnata con le sue molteplici attività di largo respiro in tutto il Regno, venga impreziosita dall’aureola dell’eroismo che esalta questo nostro conterraneo. L’eroismo e la sorte che si impossessano del Pagano vengono letti da un lato come un misto di vichiani “corsi e ricorsi storici” e dall’altro come straordinaria teatralità, quella più aristocratica e genuina, della tragedia greca che avviluppa l’autore negli stessi avvenimenti che narra e lo rende autore e martire.
Autore, 1789, della tragedia Corradino, il nipote di Federico II che venne dagli Angioini giustiziato a Napoli in Piazza Mercato (allora si chiamava Campo Miricino) il 29 ottobre 1268. Martire che sarà giustiziato, come la sua creatura, nella stessa piazza della stessa città e nello stesso giorno dal monarca di turno che crede sradicare le idee nuove con la corda del boia.
La Storia lega avvenimenti e personaggi, pur distanti secoli tra essi, con uno speciale elastico affinchè ognuno possa spiegare o farne prevedere l’altro, affinchè Storia e Leggenda siano fra esse legate a seconda di come sia possibile spiegare personaggi ed avvenimenti con il teorema che tutto scorre e niente è nuovo.
Come Crono facendo colazione con i figli, per essere precisi faceva colazione di figli, non assicurò la sopravvivenza sua e del suo potere, così il monarca che decide del Pagano non assicura la sopravvivenza della sua dinastia.
Ancora più e diluendo il ragionamento, i vari Crono meridionali e, poi, nazionali che hanno mangiato i loro figli solo hanno causato danni catastrofici alla terra rimasta orfana di quei figli e rabbia nei figli di costoro quando sono venuti a conoscere senza filtri come si comportava l’avo criminale.
Surrealismo pensare ad una genitrice che resti orfana dei figli, eppure di surrealismi strani, illogici, inconcepibili è stata intessuta la Storia del Meridione e, quanto più vicino è il passato che analizziamo, tanto più s’infittisce la prepotenza di questo surrealismo che non intendiamo o, spesso, fingiamo di non capire.
Il Crono borbone non ascolta nemmeno preghiere che vengono da chi più potente di lui, da chi riconosce il protagonismo sociale e il prestigio culturale del prigioniero, ossia dello zar Paolo I che in una sua lettera (Ottorino Gurgo- Lazzari: una storia napoletana, pag. 310- Guida 2005) implora il re Ferdinando di Borbone: Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea; non ammazzare Mario Pagano, il più grande giurista dei nostri tempi.
Sul giurista, appunto, intendo fissare brevemente il discorso, preoccupato ed esasperato per come “dondola” oggi nella nostra Italia la bilancia nella mano della Signora bendata. Saranno forti venti scatenati da occulte potenze infernali? Sarà una vegliarda dal polso non più fermo nel sostenere piatti divenuti pesanti? Saranno scorie di malsana gestione della “res publica” con le quali i nostri moderni monarchi stanno zavorrando quella bilancia?
Si pensi che, or sono 253 anni, il Pagano scrive il Disegno del sistema della scienza degli uffizi tradotto in francese ad uso dei nostri cugini costantemente preda del loro inossidabile chauvinismo e, guarda un po’, come tante altre volte nella Storia chinatisi a dissetarsi e ristorarsi alla fonte di una italianità che hanno apprezzato e sfruttato quando faceva comodo e che hanno declassato dall’alto della loro abituale grandeur ad italianismo quando altro vento soffiava.
Ebbene, non è mistero come la nostra classe dirigente non abbia saputo liberarsi da errori ciclici, non abbia mostrato nè intenzione nè convenienza a risolvere gli strascichi angioini arrivati fino al
Pagano e, crudo ahimè!, succedutisi fino ai giorni nostri, nonostante fior fiore di Commissioni Giustizia abbia studiato le “sudate carte” per emancipare un’Italia che ben altro meritava, nonostante dalle galassie governative siano usciti salvifici Ministri della Giustizia ad apporre “sudate firme” su quelle “studiate carte” a gloria della Patria … ma anche e soprattutto di se stessi e senza prendersi la briga di recitare un sia pur lieve mea culpa per non aver letto e non aver applicato, chi di competenza, i principi fondanti di una giustizia penale che Pagano vuole rapida e soprattutto precisa.
Ancora oggi, infatti, pur tanto tempo intercorso, saremmo fortunati avere nel nostro ordinamento l’applicazione concreta della giustizia com’è nella visione del Nostro, almeno per non soffrire dell’odioso meccanismo della cosiddetta “giustizia ad orologeria”, utile per ridurre avversari scomodi o per “prescrivere” egregi colpevoli sodali. Questo, però, è discorso che nemmeno tutta la stampa porta avanti, tanto pure una parte di essa funziona ad “orologeria” e si dedica a sincronizzare cronache, saggi, libri, interviste e servizi sulle sveglie dei padroni o dei riferenti.
L’impegno giuridico di Mario Pagano continua ad elevarsi con lo scoppio, 23.1.1799, della rivoluzione a Napoli, allorchè viene chiamato a far parte del governo provvisorio, occupando poi la presidenza del Comitato di legislazione. Diviene membro di una Commissione di cinque giuristi con l’incarico di redarre la Costituzione della Repubblica ma tal progetto che, stando agli studi più recenti, sarebbe stata sua opera esclusiva, viene dato alle stampe, 1.4.1799, in un opuscolo che non si riesce nemmeno a discutere nel Comitato per il precipitare gli eventi e si tratta di “perle” di giustizia davvero moderna, dalla rapida applicazione, così sintetizzate:
la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario (vietato lamentarci, noi l’abbiamo, ma continuiamo ad essere distratti dalle continue interferenze reciproche affinchè un potere sopravviva sugli altri, a seconda di come funzionino le molteplici “orologerie” dei “capi” del momento);
la gratuità della giustizia (sconsigliato imprecare, noi ne usufruiamo … alcuni, ma quanto ci costa riceverla a pillole, col contagocce, e vederci obbligati ad annotarne la speranza nel testamento che lasciamo agli eredi, a meno che anche su di essa non venga posta una tassa di successione);
l’elettività dei giudici (questa proprio non la necessitiamo, non fosse altro per le edificanti figure che puntualmente facciamo nel mondo. In occasione delle nomine di quelli delle alte sfere, ecco nomi amorevolmente e tenacemente difesi da partiti e correnti, nomi abbarbicati alle posizioni e nessuno disposto a cedere che sia un apice, ma allo stesso tempo tutti eroicamente a sbraitare sulla sete di potere dell’avversario di turno … di breve turno perchè le Istituzioni sono pur sempre suscettibili di miglioramento a favore del vincitore … di turno, questo sì);
il divieto di carcerazione prima della fine dei processi (a questo punto siamo sicuri di aver ridotto al silenzio il Pagano, il Beccaria e quanti altri si siano stracciate le vesti per ottenere questo privilegio-diritto che il progresso ha l’obbligo di dispensarci. Siamo diventati più garantisti, ci preoccupiamo non tanto di legiferare quanto di garantire: chi al momento militi nel nostro stesso partito, chi bisogna opportunamente garantire per ricambiare la cortesia che un dì fu egli a garantire noi, chi sia prudente garantire per contare su una sua probabile e futura garanzia … non si sa mai come si compongono le maggioranze balorde in questo paese. Chiaro che se un disgraziato, chiamiamolo così, non ha niente da occultare e niente con che occultarlo, potrà scrivere le sue memorie in qualsiasi carcere mandamentale, prima che gli venga ridotta la pena o riconosciuta l’innocenza).
L’ispirazione, il lavoro e la conclusione di quella Costituzione risultano di tale modernità che questa nella trattazione dei doveri del cittadino si esalta ancora di più che non in quella dei diritti, nonostante questi siano tanti e tali che non in tutte le democrazie moderne si trovano pari. Il moderno concetto del dovere è rappresentato non da un elenco di ciò che non debba farsi o non debba farsi in certo modo e giù di lì. Sono al contrario date indicazioni che trasformano ogni persona in un cittadino, ogni cittadino in un individuo che, per la forza di essi, sente il dovere di rispettare il prossimo lasciandosi guidare dalla morale e dalla saggezza, ad esempio soccorrerlo in casi di necessità, fornirgli alimenti, perfino illuminare e istruire gli altri. Quale persona che, spontaneamente o dalla legge obbligata, segua questi dettami può mai delinquere? E questa costruzione di pensiero e di legislazione, giova ripetere, non è altro che emanazione diretta del pensiero napoletano dell’epoca, in primis del Genovesi e del Gravina
L’opera e l’attività del Pagano non si circoscrivono solo nei progetti di grande caratura, la preoccupazione e l’occupazione si estrinsecano anche nei confini della quotidianità, impegnandosi ad ordinare e a regolamentare, quando non ad innovare ed a inventare, provvedimenti che proteggano e difendano i cittadini della scala sociale più debole: nei soli primi mesi del ’99 riesce a far abolire i fedecommessi (con essi il patrimonio feudale si trasmette al figlio primogenito, per cui, non praticandosi la divisione della proprietà, essa non si diffonde e se ne rischia l’incuria quando non l’abbandono), le servitù feudali, il testatico (già per Tommaso Campanella, un paio di secoli prima, rappresentava la tassa più iniqua immaginabile, la diceva tassa sulla propria testa: si pagava solo perchè si esisteva, perchè si era un essere vivente, per farsi perdonare l’abuso di essere al mondo?), tutte le tasse sugli alimenti popolari nonchè la tortura e la carcerazione segreta (su quest’ultime due, nonostante un impercettibililissimo “checchè …”, non è da discutere) e per finire quello che oggi chiamiamo il difensore d’ufficio.
Tanto pensa e tanto scrive Mario Pagano. Quanto poco ne sapevo e quanto dovrei ancora sapere su di lui. Questa necessità è obbligo civile, non certo capriccio di riempire una paginetta di circostanza o ripetere in qualche riunione alcuna sua citazione, ma per approfondire la conoscenza dei grandi uomini della nostra terra, della nostra terra piccola, delle nostre contrade, affinchè non vengano letti e studiati in altri Paesi … a nostra insaputa, ossia quando ancora molti di noi non li abbiamo studiati, nemmeno letti e forse neppure conosciuti. Dovremmo? Dobbiamo! Per conoscere meglio noi stessi, per ragionare dove e quando come società abbiamo sbagliato, per riannodare fili di testimonianze del passato e sciogliere nodi di incertezze e di errori del presente.
Lotta la carcerazione che, oggi, definiamo preventiva? Viene accusato, febbraio del 1796, di cospirazione da un delatore già condannato per corruzione e deve rilassarsi in carcere per ben 29 mesi prima che dalla macchina della giustizia esca il verdetto della sua innocenza per insussistenza di prove contro di lui e purtuttavia viene espulso da Napoli.
Scrive la Della diceosina, o sia Della filosofia del giusto e dell’onesto? Viene espulso da Napoli, 1798, si rifugia a Roma e acclamato si trova a far parte della Repubblica romana, proprio in quel periodo proclamata. All’esule viene offerta la cattedra di diritto pubblico ma egli, il solito venale ed affarista Meridionale dal carattere sommamente gretto, insaziabile e meschino -quanto duole ricordarlo!- mal ripaga la benevolenza e finalmente si degna di accettare, ma ad una sola, esosa e vergognosa condizione: RIDURRE LO STPENDIO PER APPENA POTER PERMETTERSI L’INDISPENSABILE … e la fausta ed invidiata presenza a “Mungitorio” dei nostri campioni con la costellazione dei loro satelliti segue ai giorni nostri illuminando Italia tutta, non solo quella del Sud!
Non sarà che anche a causa di siffatti esempi deleterii per i posteri, non indugiamo troppo su queste “barbose” biografie? Ma vuoi mettere un nostro “pater patriae” che, titanico e stoico, resiste alle accuse e si proclama innocente fino al 33° grado di giudizio, che alle richieste di dimissioni si torce un braccio allo stile “Oriazi e Curiazi” facendo il confidenziale gesto dell’ombrello, che a parlare di riduzioni di stipendi, prebende e pensioni … beh, proprio di ciò nè parlare, più igienico rifugiarsi nella lettura del messaggio dei nostri uomini migliori che vissero nel nostro passato migliore, nel caso continuare a leggere nei libri di Mario Pagano di Brienza: Uno dei maggiori scrittori e martiri dell’illuminismo meridionale. Franco Venturi dixit.