21 Novembre 2024

di Vincenzo Mattina da https://vallopiu.it

In Italia c’è qualcosa che non funziona, perché è diffuso il malvezzo di utilizzare pressocché in tutti i settori, i giovani stagisti e tirocinanti per la copertura temporanea di posizioni di lavoro a bassa qualificazione senza carichi retributivi e, soprattutto, senza far precedere l’immissione in servizio da programmi formativi mirati sul contesto di accoglienza (oggetto dell’attività produttiva o di servizio, caratteristiche delle attrezzature e delle macchine utilizzate, organizzazione del lavoro), men che meno sulla sicurezza, tant’è che si stanno verificando con eccessiva frequenza infortuni che producono mutilazioni e decessi. Nell’area del lavoro povero, e a tutte le latitudini, sono da ricomprendersi a pieno titolo il lavoro nero in senso stretto e la sua variante schiavistica. Il primo è una piaga ben nota nella dimensione italiana ed è concentrato in tutti i settori con punte elevatissime nell’edilizia, nelle collaborazioni familiari, nel terziario e anche nel manifatturiero, soprattutto quando c’è il ricorso agli appalti e ai subappalti.

La fattispecie peggiorativa dello schiavismo è quella prestata nel settore agricolo a tutti i paralleli dello stivale, al Nord camuffato da cooperative che, nella maggior parte dei casi, abusano di una qualificazione giuridica di per sé meritevole; nel Centro-Sud imperversano, invece, i caporali. Lo schiavismo lo esercitano in maniera sistemica sempre loro, che sono i gestori della vita, non solo del lavoro, degli immigrati abbandonati al loro destino da uno Stato che, quando fa la faccia truce, li respinge e li condanna a morte per annegamento; quando si mostra generoso e li fa sbarcare, li abbandona a un’esistenza di disperazione, di assistenza miserabile, non realizzando forme di accoglienza attiva.

L’esperienza del comunello di Riace avrebbe dovuto essere studiata, sostenuta, migliorata e riproposta nei 7.764 comuni italiani al di sotto dei 50.000 abitanti sul totale di 7904, quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento, assicurando un’ospitalità dignitosa, un lavoro utile, ancorché umile, l’apprendimento della lingua e del sistema istituzionale italiano nella sua organizzazione e nelle sue regole, la formazione professionale compatibile con il livello di scolarizzazione posseduto. Niente di tutto ciò; abbandonati al loro destino si ritrovano, nelle città, a chiedere l’elemosina o, nelle campagne, a lavorare per decine di ore ricevendo in cambio l’ospitalità in favelas di cartone, in condizioni igieniche orripilanti, con poco cibo, poco vestiario e qualche mancetta.

Nessuno li vede, nonostante siano migliaia e di colore non proprio latteo, nelle favelas di cartone nella Piana di Gioia Tauro o nelle pianure pugliesi. I prefetti, che pur ne avrebbero l’autorità, se ne guardano bene dal convocare polizia, carabinieri, guardia di finanza per organizzare azioni sistematiche di controllo non sugli immigrati, ma sui loro sfruttatori, i proprietari dei terreni con i loro scherani, da perseguire con le norme che già sono in vigore e che prevedono finanche la confisca dei terreni, in forza della legge 29 ottobre 2016, n. 199, voluta su iniziativa dall’allora Ministro on. Maurizio Martina e ignorata dalle Istituzioni, dai Sindacati, dai Partiti vecchi e nuovi.

A fronte di tanta disattenzione, si riscontra una diffusa diffidenza per qualsiasi forma di lavoro a termine legale e la sinistra al quadrato politica, sindacale, giornalistica ne è l’espressione più agguerrita.

Al suo interno, l’oggetto principe di riprovazione è l’esistenza stessa dell’istituto della somministrazione di lavoro e dei sui gestori, le Agenzie per il lavoro (ApL), l’uno e gli altri generati da un accordo sindacale del 1993 tra Governo, Confindustria e Sindacati sulle nuove relazioni sindacali, un passaggio della storia sindacale tutt’altro che marginale. Il documento, consegnato ai sindacati il 2 luglio 1993, fu approvato dagli organismi dirigenti il 3 luglio e ratificato il 23, dopo una consultazione che, in oltre 26 mila assemblee, lo approvò con il 67.1 % di si. Il Governo era presieduto da Carlo Azeglio Ciampi e il Ministro del lavoro era il sen. Gino Giugni; alla testa della Confindustria vi era Luigi Abete, mentre i segretari generali di CGIL, CISL e UIL erano Bruno Trentin, Sergio D’Antoni, Pietro Larizza.

Al paragrafo dell’accordo titolato Riattivazione del mercato del lavoro, alla lettera D, è scritto testualmente: “Per rendere più efficiente il mercato del lavoro va disciplinato anche nel nostro paese il lavoro interinale. La disciplina deve offrire garanzie idonee a evitare che il predetto istituto possa rap- presentare il mezzo per la destrutturazione di lavori stabili”.

Nel 1994 ci ritrovammo sui seggi della Camera dei deputati anche io e Gino Giugni e fu lui, maestro di diritto del lavoro indimenticabile e impareggiabile, a voler avviare la fase di attuazione di quell’obiettivo dell’accordo di un anno prima, co- involgendomi nella stesura e nella presentazione della prima proposta di legge per la introduzione nell’ordinamento dell’istituto del lavoro tramite Agenzie, l’AC 1174 del 31/08/1994. Purtroppo, la conclusione prematura della legislatura nel 1996 non consentì di portarla all’esame delle Commissioni e dell’Aula, ma il nuovo Governo, presieduto da Romano Prodi, accolse di buon grado l’orientamento del Ministro del lavoro, Tiziano Treu, che riprese il tema e lo portò al dibattito del Parlamento, fino a giungere all’approvazione e alla pubblicazione della legge 196 del 1997; gli interventi successivi di Raffaele Morese, di Marco Biagi e il Jobs act di Renzi ne hanno integrato il contenuto.

L’essenza della proposta di Giugni, e del successivo atto elaborato da Treu con gli aggiustamenti degli interventi legislativi successivi, ha fatto da base di riferimento alla configurazione dell’istituto in termini di definizione di specifiche tutele e di promozione professionale attraverso i rinnovi contrattuali e gli accordi su specifiche situazioni, una per tutte è la configurazione di azioni finalizzate alla qualificazione e al- l’impiego degl’immigrati richiedenti asilo politico, che ha dato luogo a riconoscimenti dell’UNHCR alle Agenzie che si sono misurate con iniziative di politica attiva.

La contrattazione tra Assolavoro e le tre Organizzazioni sindacali di settore FILCA-CISL, NIDIL-CGIL, UILTEMP-UIL ha generato un’esperienza avanzata e ad implementazione costante di quella flexsecurity, che la Commissione europea considera come “una strategia capace di aumentare contemporaneamente flessibilità e sicurezza sul mercato del lavoro, il tutto grazie ad accordi contrattuali flessibili e affidabili, strategie di apprendimento permanente, politiche attive per il mercato del lavoro e moderni sistemi mutualistici di welfare in grado di garantire un sostegno al reddito durante le transizioni occupazionali”. Dando merito alla Danimarca per aver introdotto l’innovazione, non si può ignorare che dal pacchetto Treu (L.196 del 24 giugno 1997) in avanti, la presenza di intermediari privati accreditati ha svolto un ruolo eccezionale nel processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro in Italia.

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