DEL CILENTO E DEL SUO GENIUS LOCI
di Pasquale Martucci
In un territorio vasto, alcuni parlano di regione, sorge un’alta montagna chiamata “La Stella”, sulla cui sommità vi è una piccola chiesa “intorno alla quale giacciono da secoli molti ruderi di antiche mura”. Lungo le pendici di quel monte “si stendono vagamente, quasi in corona, tante piccole borgate, che formano la contrada da circa mille anni detta Cilento e definita da un illustre scrittore come un immenso giardino dai contorni pittoreschi, un masso tagliato profondamente da vallate a guisa di ventaglio intorno ad un centro comune, un anfiteatro coverto di ricca e splendida vegetazione”. Chi compie queste affermazioni è Matteo Mazziotti, nella parte introduttiva di un volume importante per la ricostruzione storica del territorio.
In quest’area, quella dell’antica Lucania Occidentale, si integrano alla perfezione bellezze paesaggistiche e naturali e luoghi la cui arte e storia hanno lasciato il segno, un segno del passaggio e dell’alternarsi di civiltà e vicende storiche. Queste ultime hanno visto nei secoli baroni, clero e, nel corso del novecento, borghesia, interessati ai loro personali vantaggi, relegare ai margini della società la popolazione. Non si è favorito lo sviluppo economico: dall’abbandono il contadino, l’uomo cilentano, ha creato tutto un sistema di valori, l’ha difeso e reso immune dall’alternarsi degli eventi, almeno fino ai recenti sviluppi della comunicazione.
In genere una terra si caratterizza per gli elementi che ne costituiscono i tratti e le specificità: la cultura contadina che ha fondato e dato senso alla nostra esistenza, le comunità che hanno organizzato la vita delle popolazioni. Oggi, anche nei posti meno permeabili alle trasformazioni, l’avvento della modernità rappresenta un ulteriore passo in avanti soprattutto per merito delle nuove generazioni.
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Mi sono interessato, insieme ad Antonio Di Rienzo, di approfondire un concetto: la cilentanità, l’identità di una terra meravigliosa che fa parte del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.
Sono stati anni di ricerche e lavoro sul campo, ad indirizzo antropologico-sociale, utilizzando alcuni strumenti metodologici, indirizzati essenzialmente alla “ricerca qualitativa”, senza trascurare i contributi provenienti dal territorio, quelli di studiosi locali, oltre che i riscontri legati alle iniziative territoriali, le pubblicazioni recenti anche sul web. Tutto per ricostruire la storia, la tradizione e la cultura cilentana e trovarne i tratti e gli elementi distintivi; rilevare le comunità e gli aspetti tradizionali; osservare le manifestazioni della vita materiale e le forme comportamentali; considerare le forme rituali e le espressioni devozionali; vivere i momenti e le mitologie festive.
Questi elementi sono una sorta di continuità, dove le modalità dell’essere si radicano nell’avvenire, “il dovere della memoria assume un percorso mitodologico”, le fantasie dell’immaginario sociale sono vissute “come gli archetipi che ridanno forza e vigore alla vita di tutti i giorni”. Si tratta dei momenti fondanti, gli emblemi che uniscono pensiero e sentire. È passare dal visibile (sensi) alla mente, a partire da: immagini, immaginazione, immaginario, immaginale, per creare la vita individuale e collettiva.
Si è trattato di individuare il Genius loci, lo spirito, l’anima, l’atmosfera che si respira, ma anche i colori, gli odori, i suoni, il linguaggio della popolazione, il silenzio. È questo un aspetto trasversale, che riguarda il rapporto tra ambiente e l’uomo e le sue abitudini: indica il carattere di un luogo, legato a doppio filo agli aspetti che in esso si affermano, includendovi le opere materiali o immateriali, gli enti e gli individui cui si associa un legame storico-culturale che rende unico e immediatamente riconoscibile un’area.
Tutto ciò non poteva passare sotto silenzio, ed allora occorreva riprendere il filo di un ragionamento, partendo da aspetti epistemologici di interesse della storia, della filosofia, della sociologia e antropologia, del pensiero complesso, per ritornare al territorio e trovare gli elementi comuni. Non si poteva trascurare l’evoluzione sociale, i recenti sviluppi di un’area che è oggi molto più di un tempo, svuotata sì della popolazione residente e della vita passata, ma ricca di persone che periodicamente ritornano, di gente curiosa di culture e saperi, di turisti che si affollano soprattutto nei mesi estivi.
Eppure, la novità è anche rappresentata dalla voglia delle persone che non utilizzano il territorio solo per il divertimento ma anche per vivere i luoghi, per conoscere le bellezze paesaggistiche, storico-architettoniche, la cultura e le iniziative che si svolgono anche durante l’anno. E gli eventi festivi e aggregativi sono proprio quegli elementi che attirano l’interesse delle persone e le spingono a scoprire o riscoprire il passato.
Questa è la ragione che mi spinge a trattare il Cilento attraverso un parallelismo tra tradizione e cambiamento, facendo fare al lettore un tuffo nel passato, nella mitologia di un territorio, nella cultura popolare che ha fondato la storia ed ha consolidato l’identità. Quest’ultima, ovvero la cilentanità, si è oggi evoluta in forme differenti, in cui i soggetti costruiscono un nuovo mondo nel rispetto delle tradizioni e della storia, della natura e dell’ambiente, applicando però il passato alle modalità differenti di vivere la vita.
In questo lavoro intendo considerare i legami che ancora sarebbero importanti per parlare oggi di cultura cilentana, di cilentanità, oltre che gli aspetti di differenza che possano portare all’affermazione di una propria specifica identità territoriale. Nel rapporto tra tradizione e modernità, occorre poi comprendere attraverso quali concetti e termini si possono affermare gli elementi di un passato che necessariamente deve confrontarsi con le innovazioni di un soggetto che agisce e crea il proprio futuro.
In una intervista, pubblicata postuma, lo scrittore Raffaele La Capria ha affermato: “I giovani hanno il diritto e il dovere di uccidere il padre, ma devono conoscere bene ciò che il padre ha fatto. Non è possibile dire cose nuove ignorando la tradizione”. Per questo è necessario partire dalle risorse del territorio, per condurre la popolazione giovane ad impegnarsi nella scelta di occasioni di sviluppo differenti e più attuali.
Lo sviluppo deve essere pensato considerando che ci sono: a) aree naturali di pregio suscettibili di ulteriore valorizzazione sotto il profilo della fruizione; b) beni ambientali, archeologici e centri storici di interesse nazionale ed internazionale; c) prodotti agroalimentari tipici e di qualità; d) attività artigianali tradizionali e produzioni tipiche; e) importanti testimonianze di storia, tradizioni e cultura materiale.
Il libro è strutturato partendo dalla storia, dal contesto entro cui inquadrare il territorio, per poi affrontare le origini, il potere feudale, il declino, prima di osservare la cultura popolare, che sul mondo tradizionale, contadino, che si è affermato in millenni di storia popolare e religiosa, ha costituito identità, comunità, comportamenti della popolazione. Infine, la società che con le sue espressioni, rituali e credenze, intende ripercorrere il passaggio da forme ed elementi legati alla cultura materiale ai nuovi sviluppi in una società in rapida trasformazione. Non è da trascurare il fatto che anche quando si è tenuto conto del mutamento sociale, le forme aggregative nuove hanno lo stesso risentito della storia, della cultura, della conformazione del territorio, della ricchezza dei beni architettonici, paesaggistici e naturali che hanno caratterizzato questa terra.
Questo non è un libro di storia, ma parte dalla storia, dalle origini, dalla cultura, per giungere alle possibili strade di uno sviluppo che dovrebbe coniugare gli elementi costitutivi di quelle comunità con le forme attuali di partecipazione alla vita delle società.
Una parte introduttiva mette in parallelismo il territorio con riferimenti epistemologici che servono ai bisogni di comprensione e di conoscenza dell’intera area. Il volume è poi strutturato in tre parti. La prima riguarda proprio gli sviluppi storici che hanno determinato una specifica identità; la seconda si sofferma su quell’immaginario sociale, a partire dai miti e dalle forme rituali; la terza, tra comunità ed identità, si prefigge il compito di condurre il lettore alla conoscenza delle risorse ed alla sua fruizione. La parte conclusiva è una riflessione sui soggetti che vivono le comunità e su come la loro azione possa contribuire ad indicare la strada del possibile sviluppo.