Intervista a … “Il bue e l’asinello”
«Le interviste impossibili» dello scrittore Pasquale Carelli
Accovacciati uno accanto all’altro in fondo alla capanna, esalano, ora dalle bocche e ora dalle narici, un tiepido vapore tutto intorno. La mangiatoia è ancora vuota ma i due solerti quadrupedi sono già al lavoro. “Stiamo riscaldando l’ambiente per quando nascerà,” mi spiega l’asinello interrompendo per un attimo il suo compito; e il bue, in vena di battute, muggisce: “Siamo i termosifoni più antichi della storia, ogni anno entriamo in funzione dalla metà di dicembre agli inizi di gennaio.” “Fu il poverello di Assisi a farci il contratto di lavoro tanti anni fa, e, dopo di lui, per nostra fortuna, anche le successive organizzazioni presepiali ci hanno mantenuti al nostro posto di riscaldatori ufficiali della capanna,” precisa l’asinello, alludendo certamente all’attuale crisi occupazionale. Abbiamo rotto il ghiaccio, perciò faccio loro la prima domanda: “Che cosa è cambiato nel presepe in tutti questi secoli?” “All’interno della capanna, è cambiato poco e niente,” mi risponde il bue. “Ma nel resto del territorio è avvenuto un vero e proprio stravolgimento.” E di quale stravolgimento si tratti me lo spiega l’asinello, dopo aver emesso un sospiro, questa volta non di riscaldamento ma di rimpianto: “Caro amico a due zampe, devi sapere che nel passato la popolazione del presepe era costituita prevalentemente da pastorelli, zampognari, boscaioli, contadinelle, lavandaie, vecchi, bambini… Tutte persone che, di queste giornate, lasciavano la loro occupazione quotidiana e scendevano dalla montagna a fare visita al neonato; invece, adesso, anno dopo anno, si vede in giro sempre di più gente assai diversa da quella di una volta.” “Beh, questo è naturale,” faccio io. “Con il passare del tempo, l’umanità si è evoluta ed è cambiata anche la popolazione del presepe.” “Sarà pure così,” interviene il bue, “ma il fatto è che noi due non la capiamo proprio questa… popolazione moderna. E poi, non è cambiata solo la gente, è cambiato pure tutto il resto di quello che succedeva in un presepe normale dei tempi che furono.” “Non ti capisco,” gli faccio io. “Che significa che è cambiato tutto il resto?” “E mo’ te lo spiego io che cosa vuole dire il mio collega,” interviene di nuovo l’asinello. “Per esempio, nei secoli e negli anni passati, gli abitanti del presepe portavano i loro regali: una pezza di formaggio, una pagnotta, un paniere di uova, un cestino di arance, pure qualche fiasco di vino che, con tutta questa neve, non guastava; erano regali semplici ma donati con il cuore. Invece, se tu sapessi quello che ci portano adesso…” “Perché, che cosa vi portano adesso?” gli chiedo incuriosito. “Tutta roba acquistata nei negozi!” risponde il bue con un muggito di disapprovazione. “Figurati che l’anno passato un tale si presentò con una confezione gigante di salmone e una scatola di caviale!” esclama l’asinello. “Per farsi bello con gli inquilini della capanna, il fesso aveva speso centocinquanta euro, senza sapere che qua dentro nessuno ne mangia di quella roba sofisticata.” “E come lo sai che aveva speso proprio centocinquanta euro?” gli domando. “Perché nel sacchetto c’era ancora lo scontrino del supermercato,” mi risponde lui, e poi, sospirando di nuovo, aggiunge: “Ah, che bei tempi quando ci mettevano davanti fasci di fieno profumato che noi due mangiavamo con parsimonia, mentre il suono delle zampogne si diffondeva dolcemente modulato per l’intero presepe; purtroppo, di tutto questo, non rimane più nulla.” “Non rimane più nulla?… nemmeno il suono delle zampogne?” chiedo io. “Scomparsi gli zampognari, scomparse le zampogne,” mi risponde laconicamente il bue, e l’asinello mi illustra l’attuale situazione sonora del presepe: “La più recente organizzazione presepiale ha piazzato una serie di amplificatori in cima alla montagna, e il volume è così alto che l’angioletto sulla capanna se ne sta con le orecchie tappate dalla sera della Vigilia fino a quando arrivano i re Magi.” “Meno male che i re Magi ci sono ancora,” osservo io. “Sì, quelli sono rimasti,” mi conferma il bue. “Però non ci sono più i cammelli.” “E come arrivano, a piedi?” gli domando. “Ormai è da una decina di anni che arrivano col fuoristrada e con l’autista,” mi risponde lui. “E da allora è scomparsa pure la stella cometa,” si lamenta l’asinello. “E perché è scomparsa?” “Ma perché sul fuoristrada dei re Magi hanno piazzato un navigatore ultimo modello, e la stella cometa non serve più a niente.” La sparizione della cometa mi lascia davvero sconcertato, e un improvviso e struggente amarcord natalizio mi fa dire: “E’ molto triste un presepe in cui manchi anche la guida della stella, oltre all’assenza degli zampognari, dei boscaioli, delle lavandaie, delle pecore…” “E chi te l’ha detto che non ci sono più le pecore?” mi fa l’asinello. “Sappi che nei presepi contemporanei, di pecore se ne possono contare a milioni… anche se sono un poco cambiate nell’aspetto.” “Cambiate in che senso?” gli chiedo perplesso. “Nel senso che, invece di quattro zampe, ne hanno soltanto due,” mi risponde, così sottilmente allusivo che io, pur non essendo intelligente come lui, capisco al volo. Però mi piace continuare nell’equivoco e, fingendo meraviglia, gli chiedo: “Ma allora, per tutte queste pecore, ci vorranno moltissimi pastori nei presepi di oggi.” “No, ne bastano assai pochi per tenerle a bada,” mi risponde il bue. “Non ti dimenticare che si tratta di pecore a due zampe.” Siccome l’asinello si accorge che non ho capito cosa intenda dire il bue, mi fa: “Il mio collega vuole dire che le pecore a due zampe sono assai più facili da addomesticare e ammaestrare rispetto a quelle che ne hanno quattro.” Adesso ho perfettamente capito, e stupidamente chiedo loro di farmi qualche nome di questi pastori così bravi nell’arte di addomesticare e ammaestrare milioni di bipedi. “Ah, adesso ne vuoi sapere troppo!” esclama l’asinello. “Di nomi non ne possiamo fare,” mi soffia in un orecchio. “E perché?” “Ma perché non vogliamo perdere il nostro posto fisso di termosifoni del presepe,” risponde il bue; e l’asinello: “Se noi ti diciamo chi sono questi pastori, l’organizzazione compra una stufa a gas e noi finiamo disoccupati per i secoli futuri.” “E pure senza la pensione,” muggisce il collega, paziente e cornuto.