8 Settembre 2024

Alle origini della narrazione. La scrittura creativa come strumento per comunicare emozioni

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di Pasquale Tuozzo

La narrazione esiste da molto tempo prima che ci fosse la scrittura. Risale a quando l’uomo preistorico davanti al fuoco raccontava di come era andata la caccia, ovvero utilizzava uno strumento per trasmettere un’informazione.

Si tratta dunque di una tecnica antica quanto l’uomo e creata per risolvere problemi. Questi problemi erano all’inizio legati alla sopravvivenza, alla sussistenza, come nell’esempio del cacciatore preistorico. Superato il problema legato alla sussistenza, i nostri antenati cominciarono ad interrogarsi su come potessero migliorare la propria esistenza, sia inteso come benessere fisico, sia come una maggiore soddisfazione e felicità. In questo processo di crescita la narrazione serve ad acquisire, ricordare, organizzare, sviluppare conoscenze per costruire una precisa visione del mondo e condividerla. La narrazione si può perciò definire uno strumento di comunicazione sociale, adatto principalmente a trasmettere un’esperienza.

Alla base della narrazione c’è la parola. L’uomo esiste però da prima della parola. E allora, come comunicava? Lo faceva attraverso qualcosa che oggi abbiamo in gran parte perso, ovvero con il cosiddetto linguaggio ancestrale. Si tratta di quell’insieme di gesti, sguardi, contatti, posture che comunicano, nell’istante esatto del loro accadimento, l’emozione corrispondente, senza alcun tipo di filtro o interpretazione.

Succede poi tra 500.000 e 600.000 anni fa che uno dei nostri antenati, l’Homo Heidelbergensis, raggiunga un livello evolutivo tale da riuscire ad esprimersi articolando parole. Un fatto importante che rompe definitivamente ogni precedente schema comunicativo. Così facendo però non si trasmette l’emozione nel momento stesso in cui questa si prova. Difatti la parola spiega, condivide un’informazione, ma non è l’emozione. Questo potrebbe sembrare all’apparenza un limite, un passo indietro rispetto al linguaggio ancestrale. Tuttavia la parola, attraverso la narrazione, si impone subito come il mezzo più potente mai avuto a disposizione.

La narrazione è diventata preso molto importante perché ha influenzato il nostro modo di ragionare e di esistere. Essa ci mette nelle condizioni di trasmettere conoscenza e ci fornisce la chiave per creare la civiltà. La parola ha una potenza e una raffinatezza che non si ritrovano in nessun altro tipo di espressione. Ha anche un aspetto cinico, ovvero ci permette di mentire.

La parola non è lo strumento migliore per trasmettere emozioni e sentimenti, ma è comunque l’unico strumento oggi a disposizione dello scrittore. Il mestiere del narratore è quello di ammaliare il lettore, e per fare questo l’emozione serve. È anzi l’elemento più importante. E quindi, come rimediare? Un modo consiste nel restringere l’argomento che si intende trattare in un singolo racconto, sempre di più, per arrivare al dettaglio. Un altro modo è invece legato alle parole, imparando a utilizzarle in modo appropriato, scegliendole in base al loro significato più puro.

Nella narrativa moderna c’è la tendenza in molti autori di scrivere usando gli stessi termini di una normale conversazione. Questo impoverisce ciò che si scrive ed è completamente diverso dal realismo narrativo, cioè dal “far parlare” i personaggi nel modo a loro più adatto. È anche un controsenso perché, con l’intenzione di usare un linguaggio più vicino al lettore, ci priviamo della possibilità di veicolare al meglio le emozioni, cosa che si può fare efficacemente solo con una scelta accurata del lessico. Scegliendo il termine giusto tra altri simili si rende migliore sia il racconto in quanto tale, sia il suo potenziale comunicativo. Questo percorso porta a ridurre le distanze tra la comunicazione moderna e quella ancestrale.

Bibliografia: Manuale di scrittura creativa di Giorgio Arcari

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