Lo stile diaita nel Cilento
di Pasquale Martucci
Diaita indica uno stile di vita, quello che si è affermato nel Cilento e valorizzato dalla dieta mediterranea: un’armonia di gusto, nutrimento e dispendio energetico; un connubio di abitudini, tradizioni, cultura; un modello ideale tra sapori e saperi.
Questi concetti sono molto ben argomentati nel supplemento di Repubblica di qualche tempo fa (I piaceri del Gusto, 9 marzo 2023), dal titolo: “Siamo tutti mediterranei. Viaggio nella storia, nel futuro e nei sapori di uno stile di vita patrimonio Unesco”, un lavoro importante per parlare di diaita e soprattutto di futuro.
Eppure un tempo l’alimentazione povera era privazione e assenza di salute: i magri erano considerati malaticci e guardati con sospetto, ritenuti non forti ed invisi alla comunità. Mangiare verdure era vivere di stenti, senza proteine e sostanze nutrienti. Si usava dire: “Mangio sempe menestra!”, ovvero non vedo la carne e vivo un’esistenza infelice, di privazioni.
Poi giunge Keys e dice che la verdura, la pasta, i legumi e la frutta sono gli ingredienti migliori per vivere in salute e a lungo, per prevenire malattie cardiovascolari. E questi prodotti sono quelli del Cilento e della sua dieta antica. Ecco spiegato l’arcano, ecco valorizzato il territorio che si accorge di avere prodotti tipici che fanno bene alla salute.
Il passo per l’affermazione della dieta mediterranea è breve, diventa il modello culturale da seguire. E ciò accade dal 2010, quando questo modo di alimentarsi è inserito tra i patrimoni immateriali dell’Umanità (Unesco). Il Cilento ne è coinvolto, diventa avamposto per la conservazione e la promozione di questo patrimonio. Ed allora i prodotti di questa terra diventano tipici, fanno parte di un’opera di promozione e innovazione, di valorizzazione di uno stile di vita, il diaita, che non è solo cibo, ma è anche vivere i luoghi dove la natura prevale a tratti sull’opera dell’uomo, dove c’è meno inquinamento, dove i silenzi e l’ascolto di suoni lievi e tranquilli, dove le acque limpide di corsi d’acqua passano frettolosi e sembrano avvolgere in un’atmosfera di tranquilla beatitudine. È il ritmo lento delle comunità piccole, poco abitate, dove le persone guardano con curiosità l’avvento di turisti che si immergono per conoscere, per vivere l’arte e la cultura. Certo, si tratta soprattutto di modificare il modo di pensare, di vivere le cose, e sono tante, che rappresentano la tradizione, che non va solo ricordata dalla memoria e dai libri che ne tracciano le caratteristiche.
È lo stile di un uomo che deve conoscere quello che è stato, che spesso è stato dimenticato. Ed allora, deve vivere il presente per evocare e riscoprire i valori di una cultura. Quella cultura è cilentana, è una identità che abbiamo definito (con Di Rienzo) nelle nostre ricerche cilentanità. La tradizione passa per lo stile di vita e per il cibo, che significa mangiare cibi diversi e di stagione, ingredienti che rappresentano uno sviluppo sostenibile. È il mangiare bene, prodotti di qualità che significa agricoltura che rispetti l’ambiente, restituisca valore nutritivo e che si rivolga ad una terra che deve essere coltivata in maniera biologica anche con la finalità di preservare l’ecosistema.
Una rapida carrellata di prodotti cilentani: alici di menaica e pesce azzurro; cipolla di Vatolla; carciofi di Paestum e del Tanagro (Pertosa/Auletta); fusilli di Felitto e Gioi; fagioli di Controne e Stio; ceci di Cicerale; grani e cereali; fichi bianchi; olio d’oliva; vino; cacioricotta e caciocavalli; mozzarella ca murtedda; tanti ortaggi, frutta e verdure di stagione.
Carlo Petrini suggerisce una capillare educazione alimentare, con la valorizzazione delle comunità rurali, perché la dieta mediterranea sia “sostanza che nutre e mantiene i nostri corpi e l’ambiente in salute”.
La sfida però più importante è il ripopolamento del territorio, perché il calo demografico innesca marginalità e abbandono, che indeboliscono il tessuto sociale, i servizi territoriali, le pratiche produttive, gli stessi elementi culturali e ambientali. Puntare sui giovani non è una frase fatta: le nuove tecnologie e la formazione possono dare una mano per fermare l’abbandono ed offrire differenti prospettive.
La dieta mediterranea è la possibilità, l’indicazione che la novità deve essere la voglia delle persone a non utilizzare il territorio solo per il divertimento ma anche per vivere i luoghi, per conoscere le bellezze paesaggistiche, storico-architettoniche, la cultura e le iniziative che si svolgono anche durante l’anno. E gli eventi festivi e aggregativi sono proprio quegli elementi che attirano l’interesse delle persone e le spingono a scoprire o riscoprire il passato. È un modo di permettere ai soggetti di costruire un nuovo mondo nel rispetto delle tradizioni e della storia, della natura e dell’ambiente, applicando però il passato alle modalità differenti di vivere la vita. Si tratta di affermare una identità dinamica che parte dai forti fondamenti e, attraverso l’intelligenza di uomini che guardano lontano, si evolve come è giusto che sia per prendere dal nuovo ciò che occorre per progredire.
Se l’identità culturale è una grande risorsa del Cilento è necessario rivolgersi ad una programmazione, attraverso la valorizzazione del turismo sostenibile che si concretizza con l’attivazione di processi di comunicazione, di formazione, di divulgazione e di educazione scolastica. Solo essi possono far sviluppare un atteggiamento di rispetto del territorio, da intendere non come consumo ma come meditazione, contemplazione, tentativo di riguadagnare il rapporto con la natura.