23 Novembre 2024

Riflessioni di una notte di mezza estate

0

di Pasquale Tuozzo

Ricordo bene come scoprii il mio amore per la narrativa. Tutto ebbe inizio un pomeriggio. Avevo circa vent’anni ed ero studente di Ingegneria. Studiavo nella mia stanzetta di bravo studente universitario fuori sede, quando ricevetti una visita inaspettata. Accanto a me si definì una presenza chiara e discreta: era là, occhieggiante, appena oltre il cono di luce prodotto dalla lampada accesa sulla scrivania. Nemmeno il tempo di capire chi fosse e cosa stesse succedendo, che mi ritrovai con la penna in mano che scorreva veloce su un foglio bianco. E sentivo che era bello. Bellissimo. Buttai giù di getto una poesia, la prima. La rilessi subito, oltremodo incuriosito, e mi sembrò un capolavoro. Se oggi ci ripenso, sorrido di me e mi faccio tenerezza considerando l’ingenuo stupore col quale presi atto della novità. Ma quanto accadde in quella circostanza fu in effetti uno spartiacque della mia esistenza, un punto di non ritorno a partire dal quale si è rafforzata sempre di più una consapevolezza nuova.

È innegabile: per me scrivere è anche un piacere fisico, materiale; una necessità dell’anima che passa attraverso i miei sensi. Mi piace ascoltare il ticchettio della tastiera mentre scrivo, vedere la pagina virtuale del computer che lentamente si riempie, avvertire il sottile odore di inchiostro che emanano i fogli che escono dalla mia vecchia stampante e sentirne la consistenza tra le mani. Tutto si mescola insieme, mentre plasmo le parole che diventano malleabili come argilla. I pensieri si legano tenendosi per mano in una danza ora frenetica ora più rallentata. Intorno a me faccio il vuoto; aspiro la mia quotidianità per concentrarla nella storia che sto scrivendo. Vivo accanto ai miei personaggi, partecipo alle loro vicende pur essendone arbitro e demiurgo; essi entrano a far parte della mia esistenza: vivi, reali, palpitanti. Umani. Spesso mi sopportano, subiscono la mia pignoleria perché per me la vera sfida non è scrivere, bensì riscrivere (lo sosteneva Flaubert, uno che di queste cose s’intendeva). Perdo tantissimo tempo per le revisioni, ma non m’importa; lavoro di cesello, ma non riuscirei a fare in altro modo, perché non potrei mai proporre agli altri qualcosa che non seduca per primo me stesso. Nella mia mente tutto è un continuum fatto di ragione e sentimento, da quando scatta l’idea a quando termino l’ultima revisione del lavoro. È così anche quando spengo il computer e mi occupo di altro. Lo scrittore Joseph Conrad affermava: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra sto lavorando?”

Ma è sempre il lettore che sancisce la nascita di uno scrittore attraverso un meccanismo di identificazione che scatta in lui e ne cattura l’attenzione. Si ritrova accanto al protagonista; nelle storie che legge ritrova analogie con la sua vita, parallelismi emotivi che lo intrigano e gli procurano quella smania sottile di arrivare all’ultima pagina del libro. Le scelte più giuste dal punto di vista narrativo sono quelle che passano attraverso la risoluzione di un conflitto. Una storia d’amore struggente non è tale senza un ostacolo da superare. Un successo, di qualsiasi natura esso sia, è quasi sempre preceduto da un percorso disseminato di ostacoli. Le difficoltà fanno parte della nostra quotidianità ed un bravo narratore se ne fa interprete e portavoce; le propone filtrate attraverso la sua sensibilità al lettore, conducendolo nell’intreccio della trama dove qua e là dissemina tracce che lasciano solo intuire l’esito finale della storia, possibilmente positivo e mai banale. La felicità in tutto questo è solo l’epilogo auspicabile perché se è vero, com’è vero, che la narrativa è lo specchio della vita, allora non è affatto scontato che una storia finisca con la classica frase: “… e vissero tutti felici e contenti.”

Gli scrittori arrivano per ultimi, ma essi fanno leva sulla prospettiva del tempo trascorso per scrivere le loro storie, liberi da ogni emotività che non vuol dire non provare umana partecipazione per ciò che si crea. Il modo migliore per veicolare i messaggi della letteratura è a posteriori, ovvero quando ciò di cui si vuol parlare si è sedimentato nella sensibilità di chi vuol metterli sotto la lente di ingrandimento della narrativa. Le pagine di un libro possono contribuire a diffondere speranza e solidarietà attraverso le azioni eroiche di chi se ne rende protagonista. Le pagine di un libro possono svelare ciò che di straordinario e nobile può nascondersi dietro esistenze comuni in situazioni drammatiche. Le pagine di un libro consentono di ricordare, a volte per sempre, ciò che nelle cronache giornalistiche o nelle opere di saggistica per la loro intrinseca natura non si potrà mai trovare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *