Italo Calvino a cent’anni dalla nascita
di Antonella Casaburi
Si celebra quest’anno il centenario della nascita di Italo Calvino, un autore che, nato il 15 ottobre 1923, è tra i più poliedrici e apprezzati intellettuali a livello mondiale.
Un autore attualissimo, Calvino, che merita di essere ricordato per l’istanza dell’impegno sociale, che fu una costante nella sua vita. Calvino riteneva che l’intellettuale dovesse essere parte attiva della società. Scrisse di guerra e di resistenza, riuscì a narrare mondi fantastici e fantascientifici, e la sua sperimentazione letteraria evidenzia una costante ricerca. Perché Calvino interpretava la realtà come un processo in continua evoluzione.
Sono ancora oggi ritenute profondissime e attuali le sue riflessioni sulla poesia, sul valore dei libri, sul cibo (sostiene che occorre mangiare il territorio, per conoscerlo!). E Calvino, nato a Cuba e morto a Siena, un uomo di città, parlò anche di Sud Italia, delle campagne del sud, di questione meridionale, di questo mondo così diverso dal suo, e così diverso dalle idee superficiali e schematiche che, ammette, anche lui aveva avuto, prima di scoprirlo.
In una celebre intervista del 1982 rilasciata ad Alberto Sinigallia, Calvino evidenzia il ruolo importante della poesia.
“Imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria; da bambini, da giovani, da vecchi. Le poesie fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente; e poi lo sviluppo della memoria è molto importante”.
Ed esorta a impegnarsi. Calvino dichiara infatti che occorre “puntare solo sulle cose difficili, eseguite alla perfezione, le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della faciloneria, del fare tanto per fare”.
Come conoscere un territorio, Calvino lo spiega chiaramente nella sua opera “Sotto il sole giaguaro”: “Il miglior modo per conoscere un territorio è introitarne il suo cibo o, ancor meglio, mangiare il territorio”.
E del profondo legame tra la nostra casa e i nostri libri, Calvino parla nella celebre opera “Se una notte d’inverno un viaggiatore”: “La nostra casa, essendo il luogo in cui tu leggi, può dirci qual è il posto che i libri hanno nella tua vita, se sono una difesa che ti metti avanti per tener lontano il mondo fuori, un sogno in cui in cui sprofondi come in una droga, oppure se sono dei ponti che getti verso il fuori, verso il mondo che ti interessa tanto da volerne moltiplicare e dilatare le dimensioni attraverso i libri”.
Parla anche di Sud, Calvino: lo scoprirà tardi, meravigliandosene e lasciandosi avvolgere da una terra fino a quel momento a lui sconosciuta. E con lucide parole riesce a sintetizzare il profonde libro di Carlo Levi. Calvino, che collaborò con la casa editrice Einaudi per trentasei anni, strinse un profondo legame con Carlo Levi, al punto da scrivere la prefazione al libro “Cristo si è fermato ad Eboli”: una prefazione che è un prezioso saggio introduttivo. Calvino scrive: “Il protagonista di Cristo si è fermato a Eboli, è un uomo impegnato nella storia che viene a trovarsi nel cuore d’un Sud stregonesco, magico, e vede che quelle che erano per lui le ragioni in gioco qui non valgono più, sono in gioco altre ragioni, altre opposizioni nello stesso tempo più complesse e più elementari … Parla di quel mondo “contadino” diverso dal suo mondo urbano. … paesi dove prima dell’alba gli uomini sono in marcia per raggiungere i campi lontani, notizie di lutti, di arresti, di occupazioni di terre, ma anche notizie di filtri d’amore, d’incantesimi, di spiriti notturni. ..tesori culinari … formaggi caprini, i vini mielati… donne nerovestite, giovani dalle scarpe polverose. E allora ci prende come una vertigine d’un mondo diverso che ruota nel suo tempo diverso, in un’altra dimensione dal nostro, da noi che seguiamo il tempo dei contachilometri e delle rotative dei quotidiani. Che il mondo vero sia quello e non il nostro … ma quello che conta è questo senso della compresenza dei tempi … per trovare nell’antico le vie di comprendere il nuovo”.
Nell’estate del 1954 Italo Calvino scese per la prima volta al Sud. Attraversò la Lucania e scrisse queste oneste e suggestive annotazioni: “Era la prima volta che viaggiavo nel Sud, e quell’entrata in Lucania, quel mare di terra ondulata e pietrosa e gialla, quel sole a picco, il saliscendi della macchina nella strada polverosa, mi diedero subito il senso che era insieme di sovvertimento fisico e di soggezione morale, quasi a segnare un trapasso, a avvertirmi che mi trovavo di fronte una condizione di natura e di società a petto della quale tutte le mie idee schematiche sulla questione meridionale si rivelavano superficiali e imparaticce”.