La complessità del “fenomeno usura”
di Pasquale Martucci
Quando parliamo di usura occorre considerare un complesso fenomeno che investe questioni non solo legali ed economiche ma anche psicologiche e sociali: le storie di vita di coloro che sono coinvolti delineano molto bene la piaga che caratterizza la nostra società.
L’usura è un reato compiuto da chi sfrutta un bisogno di un altro individuo e concede un prestito ad un tasso di interesse superiore alla soglia consentita dalla legge. L’usuraio è considerato un amico che può risolvere i problemi con un aiuto; da quel momento chi ne è travolto è condannato all’agonia, la sua vita subisce profonde ripercussioni, entra in rapporti con le organizzazioni criminali, a volte si aggrega ad esse e collabora in maniera compromettente.
Il fenomeno è causato da burocrazia, banche, finanziarie, ed allora occorrono mezzi e strumenti utili a tutela delle professioni, ma anche dei cittadini comuni. Diventa un male sommerso che non dà la misura della reale entità perché le denunce sono poche, proprio per gli elementi di solitudine e isolamento. Pesa in maniera decisiva la convinzione della vittima di non avere alternative alla propria situazione: l’usuraio lo ha “aiutato”, e anche se gli sta togliendo il patrimonio è l’unico che può sostenerlo con altro denaro, facendo così innescare una spirale perversa che non si spezza mai.
L’usura è sempre esistita: Dante nell’undicesimo canto dell’Inferno condanna il prestito di denaro a interesse; è contraria al principio aristotelico per cui “il denaro non deve generare altro denaro”, ed allora pone “gli usurai nel girone dei violenti contro Dio, nella parte più bassa del settimo cerchio”. In Delitto e castigo, Dostoevskij racconta dell’uccisione di un’usuraia; Shylock ne Il mercante di Venezia di William Shakespeare è un usuraio ebreo.
Il problema usura è legato alle sue componenti sociali che investono le relazioni personali con “gli altri” che non ne sono colpiti. Questi ultimi infatti hanno una visione che spesso si traduce nell’espressione: “Te la sei cercata!”, ovvero: “È un problema che non ci riguarda!”; “Perché ti sei rivolto agli usurai?”. Ed infatti, nella concezione comune, la questione è stata considerata personale, legata agli individui coinvolti che avevano “vergogna” di far sapere che stavano perdendo non solo i loro beni ma la loro stessa dignità. Per questa ragione era difficile parlarne anche con le persone più vicine, per senso di “vergogna” e di “rifiuto sociale”.
Chi vive quella triste condizione è un escluso, un homo sacer nella illuminante definizione di Giorgio Agamben, cioè un abitante ai margini, un soggetto che deve nascondersi e cercare di mantenere una condizione di invisibilità agli occhi della comunità di riferimento. Il margine è una condizione molto precaria uno “stato d’eccezione” che presuppone il vivere fuori e dentro; è uno spazio intermedio, quello che non ha diritti, è nel mezzo e vive l’esclusione e l’inclusione, facendolo entrare in una zona di “irriducibile indistinzione”.
Chi affronta la situazione di marginale consolida la propria personalità, con tutte le difficoltà del caso, facendo i conti con un percorso difficile, scontrandosi con la società, con gli usi e le consuetudini: è un protestato, un fallito, una persona abbandonata dalla società che lo espelle dalle regole sociali. Questa condizione portava a non denunciare per la paura e le minacce dei criminali, ma anche per non mettere al corrente gli altri della sua triste situazione.
Le “usure” sono intese nella loro multiforme rappresentazione. Nel Project Work: “Prevenzione e contrasto dell’usura, tra tutela della legalità e prospettive di rilancio dell’economia e del territorio”, Francesco Papagni rileva il carattere sommerso che altera il regolare funzionamento delle attività connesse alla prestazione del credito. Il terreno fertile è rappresentato dalle piccole e medie imprese, in cui si incuneano le società di intermediazione e le organizzazioni criminali. Si tratta del coinvolgimento di numerose variabili: socio-economiche, socio-culturali, istituzionali e territoriali, che hanno dato la spinta per attivare il Fondo di solidarietà (ex lege 108/96), ovvero la concessione di fidi, l’indicazione di sinergie operative, i percorsi di accesso al credito. Su tutto è rilevante la campagna di sensibilizzazione collettiva che attiverebbe una serie di poli antiracket e antiusura.
Ci sono poche denunce per vergogna e timore, ritorsioni e minacce. Se un tempo c’erano gli strozzini di quartiere, oggi il fenomeno è controllato da organizzazioni che si servono di professionisti del settore del credito, società di intermediazione e prestatori di servizi finanziari. Tutto ciò concorre ad “espropriare l’usurato di ogni bene”. La nuova frontiera è la criminalità organizzata che utilizza il prestito usurario per riciclare il denaro ed estendere il proprio controllo sul tessuto economico.
Alcuni organismi e volontari della società civile, che operano per la legalità, hanno operato per la sensibilizzazione delle istituzioni, tracciando una tendenza nuova. In tal senso si colloca il libro di Italo Santarelli: “Paura e coraggio” (VF Press, 2022), che individua il “coraggio” di affrontare la “paura”, e dunque getta uno squarcio nel rendere palese un fenomeno, di mostrare una “speranza”, di ribellarsi. Del resto, senza il coraggio saremmo vincolati ad una condizione di acquiescenza. La speranza è la denuncia perché oggi la legge è dalla parte delle vittime ed offre tutela e assistenza a chi decide di compiere il passo.
Dopo la legge del 108/1996 che ha definito il reato di usura, diverse sono le disposizioni normative che rilevano il fenomeno. Oggi il Testo Unico Bancario sancisce che il tasso di interesse massimo oltre al quale un prestito viene definito usurario è definito dall’UIC (Ufficio italiano cambi). In questo modo, la Banca Centrale stabilisce i valori minimo e massimo entro i quali variano i tassi di interesse (il tasso di sconto è l’interesse minimo al quale le banche prestano denaro, e l’UIC è costituito presso la Banca Centrale).
Alcune indicazioni per possibili soluzioni sarebbero: a) inasprimento delle pene, da adeguare al reale disvalore sociale della condotta del criminale, e ricondurre al reato di estorsione; b) costituzione di nuclei specializzati, che operino da supporto e riscontro della storia di usura denunciata; c) intensificazione degli strumenti strutturali già esistenti, quali i “Confidi”, utili a prevenire il fenomeno del ricorso all’usura nell’ambito dei sistemi imprenditoriali locali; d) modificazione della regolamentazione di accesso al Fondo per le vittime di usura (art. 14, L. 108/1996); e) incentivazione dei progetti di partenariato fra associazioni antiracket e antiusura riconosciute e le associazioni di categoria, con l’intensificazione di una rete di sportelli di ascolto; f) lotta ai fenomeni (contraffazione, abusivismo, pirateria, estorsioni, usura, infiltrazioni della criminalità organizzata, furti, rapine, taccheggio, corruzione) che impattano pesantemente sul sistema economico-sociale; g) assistenza legale e finanziaria; h) studi e ricerche sul fenomeno per avere dati puntuali e conoscere la diffusione su scala territoriale.
Ad essi vanno certamente inseriti interventi sul piano sociale: supporto psicologico, attività di comunicazione e pubblicizzazione, campagne di sensibilizzazione, formazione, informazione ed educazione dei giovani. Il tutto facendo “rete”, investendo competenze, professionalità, esperienze per superare l’individualismo della condizione di marginale.
Oggi il fenomeno è diffuso soprattutto nelle grandi città e al sud. I dati evidenziano un peggioramento della percezione dei livelli di sicurezza tra le imprese, penalizzate e frenate nella crescita; tanta è la preoccupazione per il rischio di esposizione a usura e racket, che gli imprenditori sono concordi nell’affermare l’importanza di denunciare, anche se sono tanti che “non saprebbero cosa fare” o che pensano che “non ci sarebbe nulla da fare”. Una ricerca della Confcommercio (2022) tra i suoi associati rileva che più del 58% degli intervistati è convinto che si debba denunciare, anche se un 33% non saprebbe cosa fare e un 6,4 % è molto pessimista perché crede che non si possa fare niente. La situazione al sud è ancora più marcata: se ci sono tanti che sporgerebbero denuncia, ben il 41 % non sa cosa fare e il 9,1 % ritiene che non ci sia niente da fare.
Dunque, la soluzione è rendere visibile il fenomeno, anche attraverso campagne sugli organi di informazione. La strada principale è il sostegno a chi incappa nell’usura, anche perché, nonostante ci siano ancora alcune dinamiche di rifiuto sociale, pare che la diffusione di dati e di informazioni sembrino aver attenuato la tendenza della riprovazione sociale. Assistenza legale, psicologica e sociale sono ancora le condizioni necessarie per invertire la tendenza del senso di smarrimento che ancora pervade le persone che sono disilluse e si arrendono alla possibilità di cambiare le cose.
Credo che le storie narrate dalle persone coinvolte nell’usura siano il mezzo di divulgazione più efficace, in quanto agisce su sentimenti ed emozioni umane.