Unicità
di Pasquale Martucci
“Il fatto che l’uomo sia capace di azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità”.
(H. Arendt, Vita activa. La condizione umana. Milano: Bompiani, 2017, or. 1958)
L’unicità è la condizione e la caratteristica di ogni essere umano, in quanto non esistono altri individui uguali o simili. È l’individualità che ci rende diversi dagli altri, ovvero esplicita la natura di ogni persona con le proprie caratteristiche, peculiarità e tratti distintivi: l’unicità riguarda la capacità di vivere in modo congruente senza compromessi o falsità. Essa riguarda la sfera comportamentale, la coerenza e l’integrità di una persona che sceglie di vivere la propria vita in accordo con i propri valori, credenze e stili di vita.
Sosteneva Jung:
“Ciascun essere umano è una forma di vita in se stessa unica e irripetibile. L’uomo nasce con la sua individualità ma c’è qualcosa che egli può fare al di là e al di sopra del materiale precostituito della sua natura, e cioè può diventare cosciente di ciò che lo fa essere la persona che è, e può consciamente adoperarsi per connettere ciò che egli è con il mondo che lo circonda”. (W. McGuire. R.F.C. Hull, Jung parla. Interviste e incontri, Adelphi, 1999)
La psicologia ammette che ciascuno di noi ha una propria costituzione, che ciascuno di noi è un individuo unico e irripetibile, indirizzando le sue analisi ai tratti di personalità, alle tipologie, nel tentativo di rintracciare il segreto dell’individualità. L’uomo è come un prodotto artigianale: per quanto si voglia realizzare un oggetto simile ad un altro non si riuscirà mai a produrlo identico. Eppure oggi, snaturando le caratteristiche di ognuno di noi, abbiamo costruito un mondo omologato, in cui tutto deve essere uguale: mangiare lo stesso cibo, senza guardare alle tipicità; avere lo stesso volto, lo stesso corpo; seguire le stesse mode.
Tuttavia, è essenziale la nostra individualità, e per conseguirla dobbiamo raggiungere la nostra dimensione più profonda. L’arte del diventare se stessi non è incoraggiata dalla logica collettiva, perché essa, volta al mantenimento della uniformità, vede nella diversità e nella differenziazione l’incombere d’una minaccia.
In Hanna Arendt, la nozione di unicità assume un ruolo chiave poiché è proprio attraverso l’azione che riveliamo la nostra unicità e l’opportunità del cambiamento, con l’imprevedibilità delle nostre azioni che le rende vulnerabili e che richiede di tenere in considerazione un’ulteriore variabile: la “temporalità”:
In questa prospettiva è la nascita, inizio, principio, azione, che definisce l’attuale e la futura possibilità dell’uomo di vivere nel mondo per rinnovarlo. Arendt assegna all’educazione un ruolo centrale e la definisce “conservatrice”, intesa come “avere cura” e conservare quanto di più buono e rilevante esiste per ciò che ancora non conosciamo e per chi non è ancora nato. Il soggetto che arriva al mondo troverà il già dato, la conservazione della vita, la memoria, che servono a tracciare l’accesso a nuovi spazi a nuovi inizi. L’unicità rileva l’aspetto di distinzione: un uomo non è solo uno straniero nel mondo, ma qualcosa che non c’è mai stato prima d’ora. La responsabilità educativa permette di mantenere vivo il dinamismo che consente al mondo di ridefinirsi e prendere nuova forma “rimettendolo in sesto sempre daccapo”. Per queste ragioni, si deve realizzare un processo di ricerca capace di interrompere ciò che è stato stabilito a priori, e di “conservare” l’apertura all’imprevedibilità dell’azione educativa come la sola forza produttiva indispensabile per l’espressione dell’unicità. (Cfr.: H. Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, 2017, or. 1961)
Oggi, la nostra vita si svolge tra una pluralità di riferimenti e di valori ma porta con sé anche il riemergere prepotente dell’individualismo, del localismo, dell’etnicità come categoria sociale. Ogni persona ha valore in sé: deve essere riconosciuta la propria originalità, per poter dare il proprio specifico contributo al gruppo ed alla comunità locale, nazionale, internazionale in cui è inserita.
La diversità può diventare stimolo, sollecitare il confronto.
Così, principi e categorie possono essere ridefiniti secondo una pluralità di valutazioni: il dialogo deve diventare strumento privilegiato che rende possibile l’incontro; i sistemi gerarchici dell’organizzazione sociale devono lasciare posto ad atteggiamenti ispirati ai valori di libertà, giustizia, accoglienza, tolleranza, solidarietà. Educare alla e nella diversità diviene essenziale per un rinnovato impegno del sistema formativo.
La società ci vuole tutti uguali, ci vuole classificare; al contrario, occorre evidenziare che la nostra unicità è qualcosa che ci rende riconoscibili e liberi. Questa è una ricchezza che serve a guidare l’intera umanità: ognuno ha una storia, un vissuto, una personalità, gusti e aspirazioni, perché è diverso dagli altri, unico. È determinante l’accettazione e il rispetto, che implicano la promozione di una società inclusiva in cui ciascun individuo possa sentirsi libero.