La guerra a Gaza: Il Popolo Palestinese come capro espiatorio
di Gianfrancesco Caputo
Nel contesto dell’incessante conflitto tra Israele e Palestina, la recente escalation delle ostilità nella Striscia di Gaza ha portato dolore, distruzione e morte per entrambe le parti coinvolte. Mentre le ragioni dietro questa guerra rimangono complesse, c’è una narrazione importante che spesso rimane in ombra: il popolo palestinese di religione islamica sunnita considerato come il capro espiatorio di varie forze esterne e interne.
Uno degli attori principali che spesso viene sottovalutato è l’Iran, che fornisce supporto politico e militare a diverse organizzazioni palestinesi, come Hamas. Hamas, un’organizzazione considerata da molti paesi, inclusi gli Stati Uniti e l’Unione Europea, come un’organizzazione terroristica, è spesso vista come il braccio armato dell’Iran nella regione. Questo sostegno iraniano è radicato nella divisione religiosa tra sunniti e sciiti, con l’Iran sciita che cerca di sostenere gruppi palestinesi sciiti o sunniti estremisti come mezzo per esercitare influenza e destabilizzare Israele.
Dall’altra parte della barricata, c’è l’estrema destra religiosa israeliana, che ha promosso politiche e azioni che hanno contribuito alla marginalizzazione e alla sofferenza del popolo palestinese. Questi settori radicali, spesso legati alla colonizzazione e all’occupazione dei territori palestinesi, utilizzano la retorica religiosa per giustificare le loro azioni e per perpetuare il conflitto. La loro visione di un Grande Israele è incompatibile con qualsiasi soluzione di pace che riconosca i diritti e l’autodeterminazione del popolo palestinese.
In mezzo a queste forze esterne e interne, il popolo palestinese soffre le conseguenze devastanti del conflitto. I civili, in particolare, sono quelli che pagano il prezzo più alto, intrappolati tra bombardamenti israeliani e repressione interna da parte di Hamas. Molti vivono in condizioni di povertà estrema, privati dei diritti umani fondamentali e senza prospettive di un futuro pacifico e prospero.
Affrontare questa complessa situazione richiede un approccio politico e diplomatico che riconosca le legittime preoccupazioni e aspirazioni di entrambe le parti coinvolte. È fondamentale smettere di vedere il popolo palestinese come un semplice strumento per raggiungere obiettivi politici o religiosi. Invece, è necessario impegnarsi seriamente per porre fine alla sofferenza e alla violenza attraverso negoziati basati sulla giustizia, l’equità e il rispetto reciproco.
Un primo passo è stato compiuto il 10 maggio, quando l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che riconosce la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Il via libera del Consiglio di sicurezza sarà condizione necessaria per un’eventuale approvazione piena. Il testo ha ottenuto 143 voti a favore, 9 contrari e 25 astensioni, l’Italia ha fatto malissimo ad astenersi, la Francia ha votato a favore.
La guerra a Gaza non può essere compresa senza considerare il ruolo delle potenze esterne e delle forze interne nel perpetuare il conflitto. Il popolo palestinese, di religione islamica sunnita, è il vero capro espiatorio di questa tragica situazione, vittima di interessi geopolitici e ideologici che spesso trascendono i suoi diritti fondamentali e la sua dignità umana.