8 Settembre 2024

L’Angolo Letterario di Alfonso Leonzio Fortunato

Alberto Sottini non faceva altro che pensare a quell’immagine fugace. Non riusciva a togliersi dagli occhi quella visione. Eppure, non si era confuso. Due volte nello stesso giorno e nello stesso punto, una cosa mai capitata prima di allora! Può darsi che non ci avesse fatto caso in passato, scambiandola per un riflesso, ma adesso non si era sbagliato. Era certo di quello che aveva visto. Perplesso, si sentiva scosso, come pervaso da un tremolio incontrollabile. Stava accadendo qualcosa di strano.

Lo specchio di fronte rifletteva i lineamenti di un uomo sui quaranta, pallido e dagli occhi spaventati, ma deciso. Girava e rigirava, in cerca di una presenza estranea. Sentiva il cuore sfondargli il petto. D’istinto, come una furia, era entrato nella camera, spostando mobili e aprendo cassetti. Sembrava che dovesse stanare un topo.

La moglie, allarmata dai rumori molesti del piano di sopra, era accorsa subito, gridando: «Cosa stai facendo?» Senza rispondere, imperterrito, aveva continuato ad alzare i tappeti, facendo gli scongiuri: «Proprio a me, sciò, sciò!»

«A te … cosa?» supplicava la donna, che in preda alla disperazione si gettava le mani in faccia. «Quelli arrivano dappertutto!» rispondeva urlando. «Quelli!… chi?» Avvicinatosi silenziosamente alla moglie, accostandole la mano alla guancia le sussurrava allarmato: “I fattucchieri, sono ovunque».                                                         

Alberto e la sua signora abitavano in un bel palazzo con giardino abbellito da alberi, fiori e una panca ricoperta di maioliche che richiamavano l’ambiente circostante. Nelle giornate di caldo, lui amava sedersi sulla panchina al fresco per leggere i suoi libri preferiti. Fino a poco tempo fa, a sentir parlare di fatture e maghi avrebbe reagito con sarcasmo. Riteneva ridicola la stregoneria e preferiva occuparsi di affari. Invece, ora era diventata la sua principale ossessione. Vedeva con gli occhi della superstizione. E l’espressione da cane bastonato lo faceva sembrare più vecchio della sua età.

Si stava facendo buio, e, standosene seduto vicino alla finestra, distingueva con chiarezza i lineamenti degli amici seduti dinanzi la cantina. Come proiettati su uno sfondo scuro, seguiva con gli occhi una mano destra che alzava ancora una volta il bicchiere, facendolo ruotare per un brindisi.

Le chiacchiere degli ubriachi arrivavano chiare da lontano. Superato l’attimo di abbattimento, chiusa a chiave la porta, li aveva raggiunti. L’oste, grasso e basso, scendendo con incedere lento la scala di legno dal primo piano, dove abitava, lo salutava con un cenno. Cercava di rasserenarsi focalizzando l’attenzione su ciò che lo circondava.

Alle pareti del locale di colore bianco erano appesi quadri raffiguranti scene di caccia. Un tale se ne stava comodamente seduto su una sedia di paglia, con una mano sul mento, impegnata a lisciare la barba, e l’altra nel tenere un bicchiere stracolmo dal quale travasano abbondante gocce di vino.

In un angolo, alcuni attempati infuocavano il gioco delle carte con colorite imprecazioni, senza dimenticarsi di scomodare qualche santo nome glorificato nel rosario. Alberto aveva cercato di far finta di niente per una buona mezz’ora, ma ciò che si agitava in lui era lo spavento del giorno.

Avrebbe voluto affrontare l’argomento, quando Marco, suo amico, gli si era seduto vicino. “Io c’ero!» aveva borbottato. Aspettava quel momento per alleggerire quel tremendo peso raccontando all’amico la disavventura vissuta.

La sera prima aveva visto l’albero davanti casa scuotersi, come mosso da un vento improvviso, mentre tutt’intorno era calmo e la fioca luce non permetteva di vedere oltre. All’improvviso, gli era parso che nel buio si fosse radunata una folla di gente che aveva incominciato a gridare: “Il diavolo!”

Dallo spavento si era allontanato. Faceva ancora fatica a raccontare l’episodio: “Ho sentito voci diverse indicare Lucifero, poi un rantolo provenire dall’albero, e un fuggi fuggi generale».

Coloriva il racconto con ampi gesti, e di tanto in tanto si copriva con le mani la bocca dalla meraviglia; gli sembrava di essere precipitato nel vortice di un incubo incredibile. Lo sguardo perso nel vuoto, con la schiena dritta e il collo sollevato, restava impassibile alle invocazione degli amici.

D’un tratto, scandendo le parole come per farsi capire meglio, aveva concluso: «Ci vuole zi Peppe». Il vecchio saggio si trovava in compagnia della solita pettegola del paese, accorsa in fretta e furia con uno scialle buttato sulle spalle per riferire l’ultima novità.

Aveva appena finito di raccontare il fatto, arricchito di tutti i particolari del caso, quando il frastuono energico del bussare li faceva trasalire. Senza aspettare un secondo, Alberto aveva varcato la soglia in evidente stato di confusione.

Scambiandosi sguardi d’intesa, sotto voce, entrambi avevano bisbigliato: «È arrivato».

Il nuovo venuto rimaneva impalato: gli occhi esprimevano un’espressione interrogativa, quasi d’aiuto, ma le sue labbra rimanevano mute. Si sentiva a disagio nell’affrontare certi argomenti in presenza della curiosona del paese che rimaneva seduta.

Come spesso accadeva, zì Peppe doveva sollecitarla a lasciare la casa, con occhiate di minaccia. Risentita, la vecchia chiacchierona si alzava a malincuore, con un gesto di stizza.

Il malcapitato, dopo tanto agitarsi, cedeva alla disperazione portandosi le mani sul viso. Il nervosismo stava avendo il sopravvento. Per un attimo, lo sguardo di zì Peppe si faceva profondo, e, intuendo che l’uomo stava attraversando una situazione difficile, si metteva subito all’opera.

Preparati con maestria i carboni nel braciere, li accendeva, e sopra la fiamma alta gettava la polvere magica. Tra i fumi, chiedeva ad Alberto: «Perché mi interroghi?» All’istante veniva travolto da una raffica di parole, tanto che era costretto ad allontanare l’orecchio e poggiargli la mano sulla spalla per calmarlo.

La situazione riferita era già chiara al mago che sapeva più di quanto dicesse. Rassicurato, Alberto si ergeva sul braciere come una colonna, con il viso proteso sui carboni, quasi a sfidare la furia degli influssi malefici. Vi era qualcosa di temibile, ma non era il momento di cedere alla paura. Si trovava a un passo dallo svelare il mistero e il pensiero lo faceva rivivere. Poi, sempre più agitato si voltava verso zì Peppe: «Allora mi fate sapere?»

L’anziano, avvolto dal fumo che si liberava dai carboni, gli faceva cenno di pazientare. Indicava la fiamma bianca e gli ordinava di trattenere il respiro che lo investiva. «Vedete qualcosa?» insisteva Alberto, bramoso di conoscere la verità.

Una presenza quasi palpabile gli penetrava nelle narici. Colto da una stretta allo stomaco chiudeva gli occhi dallo spavento. Cercava serenità facendo volare il pensiero al suo primo incontro con la moglie: una notte in barca sul mare; allora era coraggioso, adesso aspettava quasi con rassegnazione le avversità del futuro.

«Ha un amante!» concludeva zì Peppe bruscamente. Il mistero era svelato, tutto ora gli sembrava più chiaro. «Maledetta»

La brutta espressione rivolta alla moglie voleva anche rimuovere definitivamente quell’odioso e terribile presagio che lo accompagnava da giorni. Rimanendo immobile e con la bocca aperta, allungava le mani come volesse afferrare il collo della donna per strangolarla.

Zi Peppe lo scuoteva, ammonendolo di non fare sciocchezze. L’uomo lasciava il mago senza parlare, con passo lento e la mente offuscata. Qualcosa nella sua testa era cambiato.

Rientrato a casa se ne andava nella sua stanza in silenzio, come il cane che si rifugia in un cantuccio per leccarsi le ferite.

Aveva dovuto lottare con sé stesso per mantenere la calma. Voleva apparire disinteressato, ma i tormenti e la rabbia che gli rodevano il cuore erano troppi.

La moglie era sicuramente nella stanza di sopra, ma preferiva evitarla. Non poteva parlare con la donna che aveva amato e creduto per tanto tempo fedele. Anche perché ogni volta che si apprestava a discutere con lei una sensazione di disagio lo attanagliava.

Restandosene malinconicamente pensieroso, lo sguardo, vagando nella stanza, era finito sul tavolo dove faceva bella mostra un biglietto con una rosa rossa poggiata sopra.

Meravigliato si era apprestato ad aprirlo, rimanendo sbigottito da ciò che leggeva: «TI LASCIO PER SEMPRE, ADDIO»                                                                                                                 

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