Quella primissima forma di scienza che è la poesia
di Stefano Cazzato
Da Milano, “città d’autunno e di scialo”, da Milano vicino all’Europa, metropoli della finanza e degli affari, dove vive e lavora, la siciliana Giuseppina Sciortino ci porta con questo poema estivo nel cuore della sua terra interiore, popolata di immagini, disposizioni, luoghi fisici e metaforici che hanno a vedere più con il mito che con la modernità.
La terra in cui il sentimento, avvolto da un involucro magico e fortunoso, ha le sue ragioni, che non sono tuttavia razionali e prevedibili, e bisognerà allora abbandonarsi a qualcosa di diverso dalla ragione, dal calcolo, dal sistema delle attese e delle conseguenze.
“Ragionare non è mai stata la migliore delle scelte” – scrive – e sarebbe interessante sapere se stia parlando per sé o se questa massima sia, più in generale, un consiglio di vita per tutti.
E ancora: “per ottenere una cosa bisogna volerne un’altra”, ed è subito compromesso per sempre il nesso causa-effetto, ma anche la logica del merito, delle pretese, delle aspettative, più volgarmente dell’utile.
E’ nel collasso del razionale e dell’economico, di quanto ci spetta, di ciò che è dovuto (talvolta si deve dare senza avere, donare senza ritorno, prendersi cura di), in questo vuoto bisognoso di metafisica, che si cominciano a sentire, come dice Sergio Daniele Donati nella Prefazione, “i profumi del mito”, gli indizi di altro, i varchi per un altrove.
Ecco “gli influssi di Urano a partire d’agosto”; “la cura per i paradossi” prescritta dalla maga; l’astrologa, l’eroe, Atlante; “i doni per propiziare la sorte: erbe aromatiche – basilico, aneto, cerfoglio – conserve e confetti”; santi, defunti, negromanti, eremiti, talismani, rosari, doni e benedizioni; Orione, Espero, le Pleiadi.
Ora, non prendete questi simboli alla lettera, né assumeteli come segni di “una nostalgia ontologica”, di un rifiuto ideologico e tetico del presente.
Ogni poeta ha bisogno di costruirsi un mondo, per andare oltre il mondo in cui vive, e finisce col marcare il proprio territorio poetico con le figure dell’infanzia, della tradizione, della letteratura, della vita cui vanno ad aggiungersi, e non è poco, quelle della sua immaginazione. Pasolini, in tal senso, docet.
E’ nella dialettica tra esterno ed interno, tra osservazione e risoluzione interiore, tra il dato e il filtrato (magicamente) che nasce una lingua propria. E se nasce una lingua propria nasce anche un mondo nuovo. E Sciortino, una lingua propria la crea nella contaminazione tra antico e moderno, tra registro alto ed espressioni ordinarie, a volte dialettali, tra la pazienza quasi argomentativa del suo incedere e del suo costruire e l’immagine immediatamente evocativa, tra la difficoltà di dire l’indicibile e la necessità di dire e capire, se non in modo conclusivo e scientifico, con quella “primissima forma di scienza che è il mito”. Che è la poesia.
Giuseppina Sciortino, Poema estivo, Eretica Edizioni, 2024, pp. 90, euro 15.00
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