Destino e carattere
Il libro di Giovanni De Gennaro, “Il mio sguardo al di là del mare”. Non cercare altrove ciò che è già dentro di te
di Stefano Cazzato
Un romanzo raffinato e toccante, in cui si intrecciano passioni autentiche, dilemmi laceranti, sentimenti forti, tra cui l’amore sconfinato di un anziano padre che, sentendo prossima la fine, prova a riavvicinarsi al figlio da anni stabilitosi al di là dell’oceano. Gabriele, talentuoso sin da piccolo nel disegno, ha avuto un grande successo come fumettista, ma ha dovuto lasciar andare le sue radici.
Il tramite tra i due non sarà un incontro finale chiarificatore di incomprensioni e dissapori ma il diario che, attraverso una giovane donna, il padre farà recapitare al figlio comunicandogli l’intenzione di avventurarsi in mare una volta che avrà finito di riparare una vecchia barca.
Sullo sfondo di un Cilento (Punta Licosa, per la precisione) bellissimo, raccontato con i colori e gli umori delle stagioni, con il rumore del mare e dei boschi, veniamo così a conoscenza delle gioie, dei dolori e delle turbolenze di una famiglia normale, nella quale ciascuno di noi può riconoscersi, dei tradimenti, dei non detti, delle solitudini e dei fallimenti che gli esseri umani sono chiamati a vivere in parte per il destino e in parte per il carattere.
Ecco il sottotesto di questo romanzo nel romanzo, la domanda – diciamo così – filosofica posta dall’autore al di là delle vicende raccontate: la dialettica tra il corso inevitabile delle cose e le conseguenze delle nostre scelte, tra necessità e libertà, tra sfortuna (nel senso greco di ananke) e colpa, responsabilità.
Se molto di quello che è accaduto non dipendeva da noi, perchè forze più grandi sbarrano la strada a sogni e speranze, quello che era in nostro potere poteva essere fatto in modo differente? Si poteva scegliere un’altra strada, un’altra vita, una diversa modalità di rapporto con gli altri e con il mondo? E anche in quel caso non si sarebbe forse perso qualcosa, fatto del male a qualcuno o a sè stessi? Se ci sono stati errori, ci sarà dato almeno il tempo per capire, se non per espiare? E le cose sbagliate, le cose sbagliate, possono ancora, a distanza di molti anni, essere corrette?
Se non c’è un modo di correggere il passato, c’è tuttavia la possibilità di raccontarlo, di elaborarlo, di tenerlo vivo per sempre nel ricordo delle persone che a quel passato appartengono, e di dargli così un senso.
Non è forse questo uno dei compiti della letteratura, cioè quello di ridare vita a persone, cose, fatti, che non sono più? Di rendere grandi ed eterne, come dice Pierre Michon, anche le vite minuscole?
Ma questo non sarebbe il bel romanzo che è se non fosse ambientato dove è ambientato, in luoghi che risuonano di echi barocchi e misteriosi, e se le storie personali non si sovrapponessero alla storia locale, alla memoria del territorio dove un muretto di caduti ci ricorda il veloce passaggio sulla terra degli uomini e delle generazioni, gli ideali che li hanno animati, le passioni per le quali hanno vissuto e combattutto.
Veramente incisiva, per come sopraggiunge nel racconto (mentre si affastellano in un vortice emotivo i pensieri personali del protagonista, mentre la sua confessione diventa sempre più stringente e dolorosa), la descrizione di una vicenda storica ormai dai più dimenticata: “giungo lentamente al porticciolo e mi seggo sul muretto in cemento armato dove alberga sbiadita la foto dei ragazzi del Velella: la lapide celebra a uno a uno i nomi dei caduti, proprio qui al largo della punta dove riposa il faro. Sono tanti, tutti giovani, ragazzi che hanno perso la vita per le brame di pochi uomini.”
E quando non è un muretto, è la vista di una tomba che dà lo spunto all’analisi e all’autoanalisi, per concludere che nessuno può essere dimenticato, perché ogni uomo che ha avuto dei sogni lascia una traccia, indica un percorso, ribadisce – proprio contro il non senso – una possibilità degna di vita.
Ecco il protagonista sul sagrato di una chiesa osservare la tomba Borgstrom: “la foto sbiadita di quel ragazzo, soffocata tra gessi e basalti scheggiati, era da sempre lì a osservare i fedeli di quella chiesa da anni, ma nessuno ormai da chissà quanto tempo ci faceva più caso.”
E’ la tomba di un ragazzo dalla vita esemplare, in attesa di essere beatificato, che ricorda la brevità della vita, l’importanza dell’amore, la terra “al di là del mare”, che resiste al tempo e al non essere, dove i vivi possono incontrare i morti nella compresenza degli sguardi, dei valori e degli affetti.
Giovanni De Gennaro, Il mio sguardo al di là del mare. Non cercare altrove ciò che è già dentro di te, Armando Curcio editore, 2023, pp. 279, Euro 18.90