3 Dicembre 2024

Il sequel di Joker, intitolato Joker: Folie à Deux

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Il sequel di Joker, intitolato Joker: Folie à Deux, prosegue l’esplorazione della psiche tormentata di Arthur Fleck, interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix. Il film affronta non solo il declino di un individuo fragile, ma riflette anche una critica più ampia della società contemporanea, intrecciando il pensiero di Freud sul “disagio della civiltà” con una rappresentazione complessa della follia e del crimine. La figura di Joker diventa così il simbolo del mito postcapitalista della ribellione, rivelando le dinamiche di una psicopatologia sociale che affligge la modernità.

di Gianfrancesco Caputo

Sigmund Freud, nel suo celebre saggio Il disagio della civiltà (1930), teorizzava che l’individuo, nella sua interazione con la società, fosse inevitabilmente costretto a reprimere i propri istinti più profondi per mantenere una forma di ordine. Tuttavia, questa repressione non eliminava la tensione psicologica, ma la incanalava in sintomi nevrotici, conflitti interiori e malessere diffuso. In Joker: Folie à Deux, questa tensione esplode in modo viscerale. Arthur Fleck, un uomo profondamente alienato, rappresenta l’incapacità della società di offrire risposte autentiche ai bisogni psicologici dell’individuo.
La civiltà, nelle sue forme avanzate, impone un conformismo che cerca di mascherare l’instabilità sottostante, ma il personaggio di Joker ne svela il lato oscuro. La follia di Arthur non è un’anomalia privata, bensì un riflesso estremo della pressione sociale, della mancanza di empatia e del crescente senso di disumanizzazione. Freud affermava che la civiltà fosse, in un certo senso, un “male necessario”, ma Joker costringe a chiederci quanto questo male sia gestibile senza che esso degeneri in caos e violenza.

La follia di Joker è, in effetti, una risposta alla perdita di significato e di controllo in un mondo che sembra sempre più assurdo e ingiusto. Non è un semplice disturbo mentale individuale, ma un fenomeno sociale, che sfocia nel crimine come atto finale di ribellione. Il crimine non è visto solo come una violazione delle norme, ma come una dichiarazione di esistenza in una realtà che nega continuamente l’autenticità dell’individuo. In Joker, vediamo come la violenza diventi per Arthur una forma di riconquista del potere, anche se attraverso la distruzione.
Freud aveva avvertito riguardo i pericoli della repressione sistematica degli impulsi che può condurre a eruzioni incontrollabili di aggressività. Joker, con la sua trasformazione in criminale, incarna questa liberazione distruttiva, non solo contro la società che lo ha emarginato, ma contro l’intero sistema di valori che pretende di essere civilizzato. La sua follia non è semplicemente la perdita di contatto con la realtà, ma una risposta a una realtà che si rifiuta di ammettere la sua stessa follia.

Nel contesto postcapitalista, Joker si impone come un simbolo ambiguo. Da una parte, rappresenta il mito romantico dell’anti-eroe che si ribella contro un sistema corrotto, dall’altra è una figura destabilizzante che sfida i confini tra giustizia e crimine, tra normalità e patologia. In una società dominata da disuguaglianze crescenti, la figura di Joker attira perché incarna la vendetta contro un ordine che sembra privilegiare i pochi a scapito dei molti.
Tuttavia, il suo mito è anche un inganno. La sua ribellione non costruisce un’alternativa al capitalismo, ma piuttosto ne rivela la vacuità e il carattere disumanizzante. Joker non offre soluzioni, ma esacerba le tensioni. Il suo riso isterico e incontrollabile è la risposta a un mondo che ha perso ogni coerenza morale e in cui il valore dell’essere umano è ridotto a una merce. Il film riflette così sul fallimento di un sistema economico e sociale che non solo genera esclusione, ma alimenta la disperazione e la violenza come unico mezzo di riscatto.
La psicopatologia di Joker, quindi, non è solo personale, ma riflette una più ampia malattia sociale. L’alienazione, la solitudine, l’indifferenza e la disuguaglianza diventano terreno fertile per la follia collettiva. In questo senso, la risata di Joker diventa il grido dell’umanità che non riesce più a contenere il dolore. La società stessa, con le sue istituzioni sempre più fragili e disconnesse dai bisogni reali delle persone, appare come il vero soggetto malato.
Joker non è solo un singolo “pazzo”, ma il sintomo di una patologia diffusa, in cui il confine tra normalità e follia è diventato sempre più labile. Il film non offre redenzione, ma solo la cruda rappresentazione di una spirale discendente, in cui l’individuo e la società si specchiano nella reciproca distruzione.
Il sequel di Joker approfondisce un ritratto oscuro e complesso della psiche umana e del contesto sociale in cui essa è immersa. Attraverso il prisma del disagio freudiano, della follia e del crimine, il film ci costringe a riflettere sul mito postcapitalista del ribelle solitario e sulla psicopatologia sociale che esso incarna. Joker non è solo un nemico dell’ordine, ma una figura tragica che rivela il disfacimento delle illusioni collettive su cui si basa la nostra civiltà. Il suo riso, alla fine, è il suono inquietante di una realtà che crolla sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.

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