Bamyan 1978. Transumanza. Prima delle guerre in Afghanistan
di Lucrezia Lerro
Il bambino della fotografia ha dei capelli bellissimi. L’osservo. È di profilo, è seduto sul cammello. Indossa un maglioncino colorato. La madre l’avrà fatto con le sue mani per il piccolino. I calzoni sono blu. Le scarpe nere. Di fianco c’è una bambina, forse è sua sorella. Ha i capelli scuri, è immobile, ha un vestito colorato. Una gallina nera è appollaiata sulla gobba dell’animale. È tutto vero nel fotogramma. Le persone sono vere. Veri i colori, e gli animali lo sono. È vera la coperta bordeaux, lo scialle marrone. Sono vere le borse di provviste, necessarie per attraversare la valle di Bamyan, in Afghanistan. I due bambini accompagnano i genitori nella migrazione stagionale degli animali, da una zona all’altra della valle. Le espressioni dei visi sono poco nitide. Chissà se avranno vissuto la giornata come un momento di gioco, oppure avranno avuto paura, o provato noia visto il lungo tragitto. La bimba ha sulla testa un fazzoletto. Il fotogramma è stato scattato nella valle di Bamyan nel 1978, prima delle guerre.
Nel sito archeologico, allora, c’erano le due enormi statue di Buddha, che nel 2001 furono distrutte dai Talebani. Socchiudo gli occhi, immagino l’entusiasmo dei due piccoli nel vedere da lontano le statue giganti. Le avranno scoperte dall’alto del cammello le incredibili apparizioni. Il cielo è azzurissimo, i bambini sono in buona compagnia. Di solito gli animali sono affettuosi con loro. I fratellini, lungo lo spostamento, saranno stati probabilmente spensierati. Liberi di attraversare, con l’animale, la valle magnetica di Bamyan. Non ci può essere senso di libertà più intenso di quello che si prova da piccoli, quando si è ignari dei pericoli.
I bambini della fotografia dovrebbero avere oggi quasi cinquant’anni. Saranno sopravvissuti alle guerre? Lei che cosa starà facendo adesso? E se fosse uno dei volti disperati che ho incrociato durante i servizi televisivi sull’Afghanistan? Le donne dell’Afghanistan: dolore e paura, coraggio e resistenza. Non posso non scriverne né dimenticarle. Stanotte le ho sognate. C’ero anch’io in un vagone di un treno, stipata tra loro. Eravamo sorelle. Degli uomini non volevano farci scendere. Non avremmo potuto liberarci dalla sopraffazione, non c’era alcuna fermata che potesse andar bene per noi. Ho provato la disperazione quale effetto della mancanza di libertà. Viaggiavo, non era un sollievo, ma un incubo. Intorno a me c’erano altre donne, coperte dalla testa ai piedi. Sofferenti quanto me. Prigioniere della ferocia maschile. Al risveglio ero sconvolta, mi sono detta che soltanto nel sogno avevo sentito la vera voce delle donne dell’Afghanistan, lì ero una tra loro. Ma il mio incubo è finito, il loro continua, mi sento impotente.
Ritorno al racconto del fotogramma. Il bambino della fotografia ha il capo scoperto, è più libero di sua sorella. Oggi che cosa starà facendo? Se fosse uno dei Talebani che ho visto, sempre al telegiornale, all’aeroporto di Kabul? Sarà uno di loro? Oppure è fuggito dall’Afghanistan, e vive libero, felice, in un altro
posto del mondo? Forse la fotografia scattata nella valle di Bamyan nel 1978 non racconta solo una transumanza, ma della fuga di una famiglia prima delle guerre.
Immagini inedite di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi – Bamyan 1978, prima delle guerre. Transumanza.