7 Gennaio 2025
‘Per me scrivere è come respirare’ intervista esclusiva a Massimo Recalcati di Lucrezia Lerro

Per avere un corpo bisogna essere un libro”, sono le parole profonde di Massimo Recalcati, una vita di devozione alla scrittura e alla cura del dolore degli altri.

Intervista a Massimo Recalcati di Lucrezia Lerro

Per avere un corpo bisogna essere un libro”, sono le parole profonde di Massimo Recalcati, una vita di devozione alla scrittura e alla cura del dolore degli altri. Recalcati è uno psicoanalista di fama mondiale, tradotto in molte lingue, invitato a raccontare l’animo umano, le luci e le ombre, nei più importanti luoghi della cultura sia in Italia che all’estero.

Tra le sue recenti pubblicazioni: “La legge del desiderio. Radici bibliche della psicoanalisi”, Einaudi. – E “Il vuoto e il fuoco”, Feltrinelli editore. 

Massimo Recalcati è un esempio di forza e resistenza, nel suo “Amen”, spettacolo teatrale di grande successo, descrive con la meticolosità di un archeologo la sua travagliata nascita, la resistenza nell’incubatrice, la vita che continua nonostante sembrasse finita già dal primo respiro. L’incubatrice, una prova di resistenza che ha temprato uno dei più preziosi cuori, e menti, del nostro tempo.  

Massimo Recalcati

Sta lavorando a un nuovo libro?
Qual è il momento migliore della giornata per scrivere?

Il periodo migliore è sempre la mattina. Quando i sogni sono ancora caldi e la mente è più lucida e forte. Come sempre sto lavorando a più libri. Ciascuno però ha una vita propria. Come succede per i figli. Ogni volta che apro un file entro in un mondo che è diverso ma anche lo stesso. Solo con variazioni prospettiche. Per esempio, dopo aver terminato un lavoro durato dodici anni sulle radici bibliche della psicoanalisi, ho ripreso un vecchio piano, ovvero lavorare su Joyce e Beckett, ma, insieme, sto terminando un libro su fratelli e sorelle. Poi sto studiando da tempo Hitler e sistemando una serie di lezioni svolte a Buenos Aries qualche  anno fa sulla clinica psicoanalitica contemporanea. Infine sto prendendo appunti per un progetto che tengo segreto. La mia vita è fatta di scrittura. L’ho detto più volte, per me scrivere è come respirare, ingannare la morte, restare vivo…

La vitalità è una delle peculiarità della sua scrittura, ma anche le riflessioni sulla ‘non vita’ sono centrali nel suo lavoro, in alcuni saggi, ad esempio nel formidabile libro “La luce delle stelle morte.”
Con il passare del tempo come è cambiato il rapporto con la morte? Ci pensa?

E’ un pensiero che mi ha sempre accompagnato, da sempre, da quando sono vivo, mi verrebbe da dire. Trovo supremamente ingiusta la fine di tutto, l’interruzione della vita. Ma, al tempo stesso, non c’è niente che non vorrei ancora: il bene e il male che ho ricevuto, il veleno e il miele, l’amore e l’odio, l’invidia e l’amicizia, il dolore e la gioia, i tradimenti e la fedeltà. Ringrazio per la vita che ho vissuto e continuo a volerne ancora. Col tempo la presenza della morte non è più solo nell’ordine del pensiero. E’ diventata una possibilità reale. Nessun organo è più come prima. Invecchiare porta la morte dentro il corpo. Non solo nei pensieri ma nella carne… Nondimeno, torno a dirti, la mia vita è stata molto meglio di come da ragazzo l’avevo immaginata…

In “Dove lei non è” Roland Barthes sembra non superare/elaborare fino in fondo il lutto, o meglio tenta attraverso un diario l’elaborazione ma poi lo stesso autore finisce  tragicamente, investito da un furgoncino.
Il dolore per la morte della madre era talmente forte da esporlo ad un incidente letale?

La morte di Barthes resta un enigma. Come se fosse morto prima di morire. E’ andato incontro alla morte per non separarsi da sua madre? Si è gettato nelle sue braccia come se fossero quelle della madre tanto amata? Non si può dire. Resta l’enigma di una morte stupida. Evitabile. E’ indubbio che nei lutti che restano sospesi, come direbbe l’Antigone di Sofocle, chi non è sepolto vaga in eterno senza trovare riposo”.

Quando ha pianto l’ultima volta?

Io piango frequentemente. Anche di gioia. L’ultima volta qualche giorno fa mentre correvo lungo la spiaggia immerso nella luce del mattino e nella brezza marina.

La vita che sprofonda nel dolore come può ripartire? È sempre possibile trasformare in nuova vita la depressione anche nelle forme più gravi?

Nella mia attività clinica mi sono occupato e continuo ad occuparmi molto di depressione e di melanconia. In fondo uno psicoanalista tende a seguire i casi che più riflettono il suo fantasma. Non è mai per caso che si decide di approfondire una malattia piuttosto che un’altra. Iniziai trentacinque anni fa ad occuparmi di anoressia mentale. Cosa che ho fatto per tutto il resto della vita, in realtà. Ebbene, era ai miei occhi di bambino uno dei segreti di mia madre. La sua lotta contro il cibo per preservare la sua bellezza. Un dettaglio ovviamente. Non un’anoressia mentale in senso clinico. Ma un dettaglio sufficiente che ha probabilmente catturato la mia attenzione. Può la lotta di una donna col cibo riflettere un tormento più ampio dell’anima? Potevo trovare in questa malattia il segreto del desiderio di mia madre?

A proposito di angoscia, la giornalista Cecilia Sala è ostaggio dell’Iran, se potesse ascoltarla cosa le direbbe in un momento tanto traumatico?

Di fare un passo alla volta. Di resistere. Di restare viva nello spirito e nel corpo. Un passo alla volta. E’ quello che ha permesso al sergente nella neve di Mario Rigoni Stern di ritornare vivo dalla steppe russe durante la seconda guerra mondiale. Un passo alla volta. Poi le ricorderei che non è sola ma che in tanto la stiamo aspettando e molti stanno lavorando per la sua libertà.

Gaza, Israele, Ucraina, guerre e morte. Davvero il mondo è talmente impoetico da far rabbrividire chiunque abbia un po’ di sensibilità?

La guerra, il polemos, concerne l’umano non il bestiale. Le bestie non fanno la guerra ma lottano semplicemente per la loro sopravvivenza. L’umano porta il crimine e la follia nel proprio cuore. Può farsi trascinare brutalmente nella tentazione della violenza, può preferire la morte alla vita. Se la legge della parola è ciò che rende umana la nostra vita, anche il suo rigetto appartiene all’umano nella sua tentazione perversa di farsi simile a Dio. Ogni volta che c’è guerra, morte e distruzione non è perché l’umano regredisce all’animale ma perchè vuole raggiungere la potenza illimitata di Dio.

La superficialità, la superficie, sembra che il timore del giudizio degli altri sia una delle principali preoccupazioni delle persone, è così? Perché si teme di essere giudicati?

L’esistenza umana è esposta allo sguardo degli altri, dunque al giudizio. In questo senso siamo un po’ sempre nelle mani degli altri. Ma finchè la morte non arriva a gettarci davvero nelle mani degli altri, abbiamo la possibilità di sottrarci non al giudizio e alle invidie ma al loro male lasciandolo cadere di lato. E’ una specie di arte. Non prendere di petto, non reagire frontalmente. E’ un piccolo movimento. Non possiamo evitare di essere giudicati o invidiati ma possiamo evitare di soffrirne. C’è troppo poco tempo per vivere per occuparci del giudizio degli altri. 

Quale poeta, in particolare, le piace? Che libro sta leggendo?

Trai poeti molto Giuseppe Ungaretti, Attilio Bertolucci, Andrea Zanzotto, Giampiero Neri, Chandra Candiani, Edoardo Sanguineti…  Un posto a parte hanno Pasolini e Beckett. Ho appena finito di leggere l’ultimo libro dell’amico Ernesto Franco Lontano io. Leggo sempre poesia. Più recentemente ho amato molto Sacro minore di Franco Arminio e Ruvido umano di Mariangela Gualtieri.

Ho visto recentemente in teatro “Amen”, il testo teatrale che ha scritto fa pensare alla forza inestinguibile della vita, della scrittura, e lei dall’incubatrice ad oggi, ne ha fatta di strada… ha in cantiere un testo teatrale?

Sì. Sto lavorando ad un testo sul male che ha sullo sfondo la biografia di Hitler

Ci vuole un cuore gigante per sopportare tanto dolore?

Ci vuole tanta vita per sopportare il dolore che la vita provoca.

Nel suo Van Gogh, libro che lascia tracce nella vita interiore di chi legge, il dolore psicologico diviene il cuore della pittura dell’artefice. Può dirci qualcosa in più?

Per me l’arte di Van Gogh è un paradigma puro della creazione artistica. Come è stato possibile trasformare la melanconica di una vita che non è stata desiderata in una forza capace di dare vita a forme pittoriche inaudite? Non è questo il mistero della grande arte? Vite di scarto che fanno della loro condizione l’occasione per trovare un modo nuovo di mostrare il mondo, di fare esistere il mondo? In Van Gogh mi ha sempre colpito, in particolare, la ricerca del colore-luce. La sua spinta, come quella di Icaro, verso la zona più incandescente del sole.

Crede che esista un’altra vita oltre la fine di quella terrena?

Come ti ho detto trovo la fine della vita innaturale, atroce, ingiusta. Nel mondo greco la morte appartiene al tempo ciclico delle stagioni, alla legge del divenire, all’alternarsi della luce e delle tenebre… E’ una fatto di natura. Io non ho saggezza. Non ho temperanza, non sono imperturbabile. Non conosco la compostezza di Socrate di fronte alla cicuta. Io amo disperatamente la vita al punto che ne vorrei sempre ancora. Non mi accontento. Non sono greco in questo senso. Per questo non dispero che forse da qualche parte, in qualche luogo o, molto più probabilmente, in nessun luogo, in nessun luogo possibile, ci ritroveremo vivi…

Le parole di Pier Paolo Pasolini “Siamo tutti in pericolo” oggi più che mai sono attuali?

Il delirio antropocentrico conduce l’uomo a concepirsi come padrone del mondo. Nelle guerre, nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nella riduzione del pianeta a risorsa, l’uomo si impone come un nuovo Dio. Il pericolo è questo. Il pericolo più grande è la tentazione dell’uomo di farsi Dio.

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