“Il Regno dei Borboni: un’epoca di luci e ombre, perduta e rimpianta”
di Davide Romano
C’è un fascino discreto nei regni che cadono, un’aura di malinconia che li avvolge come una nebbia al tramonto. Il Regno dei Borboni non fa eccezione. Era un regno imperfetto, certo, ma capace di suscitare rispetto e perfino amore nei cuori di chi lo abitava. Non si può parlare del Mezzogiorno senza ricordare il loro regno, come un volto che, pur segnato dal tempo, conserva ancora il riflesso della sua antica bellezza.
“Le tradizioni non sono cenere da custodire, ma fuoco da tramandare,” diceva Gustav Mahler. E il Regno dei Borboni fu questo: un fuoco che ardeva tra le pietre secolari di Napoli, tra le architetture maestose della Reggia di Caserta e tra i vicoli odorosi di spezie e mare. Napoli, capitale del regno, non era solo una città, ma un universo a sé, dove la cultura si intrecciava con la vita quotidiana, dove ogni pietra raccontava una storia e ogni angolo cantava una canzone.
Si potrebbe pensare alla Napoli borbonica come a una regina sfacciata e magnifica, capace di incantare chiunque la incontrasse. Lo stesso Goethe, visitandola, scrisse: “Qui si vive in una beatitudine continua. L’uomo non sa di essere uomo, e questa è la perfezione della vita terrena.” Era questo il mondo che i Borboni governavano: un mondo di contraddizioni, ma anche di straordinaria vitalità.
Sotto il loro regno, Napoli divenne una delle capitali più luminose d’Europa. La Reale Accademia delle Scienze, il Conservatorio di San Pietro a Majella e il Teatro San Carlo – il più antico teatro d’opera ancora in funzione al mondo – erano gioielli che illuminavano il panorama culturale europeo. E che dire della Reggia di Caserta, che non fu solo un palazzo, ma un simbolo di grandezza? Luigi Vanvitelli, l’architetto che la progettò, sembrava voler sfidare il tempo, lasciandoci un’opera che ancora oggi toglie il fiato.
Ma il Regno dei Borboni non era fatto solo di arte e cultura. Vi era anche una cura, genuina seppur limitata dai tempi, per il benessere del popolo. Gli ospedali e le strutture di assistenza pubblica rappresentavano un tentativo, raro per l’epoca, di rispondere alle esigenze delle classi più deboli. John Ruskin avrebbe detto: “Nessuna grandezza è duratura se non è fondata sulla giustizia.” E forse proprio qui stava la loro forza: nel tentativo di governare con un senso di giustizia che, pur imperfetto, li rendeva diversi da molti sovrani contemporanei.
Eppure, i Borboni non furono mai rivoluzionari. Non aspiravano a cambiare il mondo, ma a conservarlo, e in questo si ritrova il loro limite. Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrisse ne Il Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” I Borboni, invece, resistettero al cambiamento. Non compresero che i tempi stavano mutando, che il vento della modernità soffiava dall’Europa e non poteva essere fermato.
Quando Garibaldi sbarcò a Marsala, il regno non cadde sotto il peso delle sue baionette, ma sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Era un mondo che si stava spegnendo, lentamente, e forse i suoi stessi abitanti lo sapevano. Benedetto Croce avrebbe definito questo tramonto come l’”inerzia della storia”, un processo inarrestabile che travolge chi non è pronto a cambiare.
Ma cosa rimane oggi di quel regno? Molti ne ricordano solo le ombre, le disuguaglianze, gli errori. Eppure, chi ha il coraggio di scavare più a fondo trova un tesoro nascosto: un mondo di tradizioni, di arte, di cultura, che continua a vivere nella memoria. Come scrisse William Faulkner: “Il passato non è mai morto, non è nemmeno passato.”
Forse, in fondo, c’è una lezione nei Borboni. Una lezione di umanità, di tentativi spesso falliti ma mai privi di dignità. Quando oggi guardiamo ai resti del loro regno – ai palazzi, alle città, alle storie che ancora si raccontano – non possiamo fare a meno di sentire una fitta di nostalgia. Non per un’epoca perfetta, che non è mai esistita, ma per un’epoca in cui si sognava ancora in grande.
Come scrisse Marguerite Yourcenar: “Costruire è collaborare con il tempo, portare avanti un’idea contro le forze distruttrici del caos.” Questo fecero i Borboni. E anche se il loro regno è caduto, l’idea sopravvive.
Un’idea di grandezza, di bellezza, di un Sud che, per un momento, brillò come il sole a mezzogiorno.