27 Gennaio 2025

I racconti di Anna Maria: “Il mondo dei tarocchi”

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I racconti di Anna Maria «Il mondo dei tarocchi»

di Anna Maria Grattarola

Aurora si era da poco trasferita in una vecchio cascinale di campagna con la famiglia e tutto le sembrava così grande ora, rispetto al piccolo appartamento torinese in cui aveva diviso la camera con la sorella per tanti anni. Ora aveva una stanza tutta sua, arredata finemente con del mobilio antico tra cui una specchiera in stile Barocco italiano.

Quella sera i suoi familiari erano andati a un matrimonio e sarebbero tornati molto tardi, quindi era il momento giusto per esplorare la parte più misteriosa della casa: la soffitta. Decise allora di salire le scale che vi conducevano. Una volta dentro, si trovò invasa da un’aria che sapeva di chiuso a osservare cose così vecchie che parevano dimenticate persino dal tempo.

Improvvisamente sentì un tonfo come di qualcosa che era caduto e si accorse che per terra, in mezzo alla polvere, si trovava una scatolina che sembrava d’ebano, intarsiata con l’oro. Affascinata, decise di aprirla per vedere cosa contenesse, ma come se la mise sulle ginocchia, la serratura scattò da sola con un rapido clic, rivelando il contenuto.

“Un mazzo di tarocchi!” realizzò sbalordita.

Da qualche tempo si era interessata alle carte magiche, che potrebbero aver fatto la loro comparsa in Nord Italia nel 1400. La sua migliore amica sapeva leggerli e le aveva insegnato come fare, così si sedette a un tavolino di mogano decisa a tentare una lettura.

Iniziò mescolando gli arcani con cura, quando a un tratto una luce intensa la travolse e tutto iniziò a girare sempre più velocemente. No, era lei che stava girando! Era finita nel mezzo di un vortice e si stava alzando in volo. Così, ben presto si trovò per aria a contemplare stupita i buchi tra le mattonelle rosse del pavimento e poi la casa che si faceva sempre più piccola fino quando ci fu un salto, come se venisse trasportata in un’altra dimensione.

Si trovò quindi catapultata in una radura nel mezzo di un bosco di alberi altissimi che parevano dipinti su un cielo di un surreale blu zaffiro dalle sottili sfumature azzurre come la carta da zucchero. C’era uno strano silenzio in cui non si sentivano affatto i soliti rumori del bosco, né il più fine alito di vento.

Si accorse di non riuscire a vedere la fine della radura, il che le dava l’angosciante sensazione di trovarsi sospesa nel vuoto. Fu assalita da una certa ansia, un po’ come quando in certi incubi ci si trova sul ciglio di un abisso e si è attanagliati dalla paura di finirci dentro. Si chiese quindi in che posto fosse finita mentre si scrollava di dosso la polvere dai jeans e dalla maglietta e si avviava verso il bosco.

Una volta lì, si accorse che gli alberi stavano ondeggiando come se respirassero. Toccò uno dei fusti e rimase ancora più stupita perché non incontrò nessuna consistenza dura e legnosa, ma un materiale molliccio e freddo simile alla gelatina in cui i suoi polpastrelli potevano immergersi.

All’improvviso sentì un fischio lontano e, girandosi di scatto, vide che si stava avvicinando un ragazzo vestito in modo molto strano…sembrava proprio il Matto dei tarocchi!

“Ciao” le disse, guardandola con due grandi occhi spiritati.

“Ciao” gli rispose lei.

“Benvenuta nel mondo dei tarocchi, Aurora”.

“Come?”.

“Qui è dove tutti i tarocchi vivono. Dobbiamo ben avere un mondo anche noi, non credi?”
“Beh…sì”– e aggiunse confusa: “Ma come sono finita qui?”.

“Semplice. Mi hai cercato – rispose con un sorriso trionfante dai denti bianchissimi – E chi cerca in genere trova, o viene trovato. In questo caso sei stata pescata – il Matto rise – Mica potete sempre esser voi a pescare le carte. Se così fosse, che giustizia ci sarebbe?”.

Aveva appena finito di pronunciare queste parole, quando una donna incoronata apparve in cielo. Teneva una spada in mano e li squadrava con una certa severità. Aurora riconobbe subito il personaggio della Giustizia, che quindi atterrò su un dislivello poco più in là di colore giallo fosforescente come l’evidenziatore che usava quando sottolineava i libri di scuola.

“Sono la tua seconda carta di stasera, ma il primo ideale da seguire nella vita” esordì la Giustizia.

Il Matto la interruppe:

“Sempre a metterti in mostra, tu, solo per il fatto che hai una corona in testa!”.

Guardando il giovane con aria di sufficienza, la Giustizia rispose:

“Suppongo che tu creda di essere una scelta migliore”.

“Certo, naturalmente. Solo la follia può portare a risultati eccezionali. La tua giustizia è solo qualcosa di noioso, un po’ come la gente che ti segue senza nemmeno sapere perchè. Magari perché gliel’hanno insegnato a casa o a scuola o perché ˈsi fa così”.

La Giustizia fece il gesto di minacciare il Matto con la spada, ma quello riuscì a scansarsi ed entrambi svanirono nel nulla. Allora era vero, era finita nel mondo dei tarocchi grazie a quel mazzo che aveva trovato in soffitta.

Camminando si trovò poco dopo in un un altro posto incredibile. Era come una brughiera dai colori simili a quelli delle vecchie pellicole cinematografiche. C’era dell’erica dappertutto, ma era nera come il carbone e in strano contrasto con un cielo di un grigiore perlaceo così intenso da risultare disturbante allo sguardo. Un corso d’acqua color petrolio con alcuni arbusti tristemente ripiegati su se stessi attraversava la piana quasi con affanno, mentre qua e là sulle sponde si trovavano delle coppe che ricordavano un po’ quelle usate nel Medioevo dai commensali per bere durante i banchetti.

Aurora non aveva mai visto prima un paesaggio così desolato, se non forse in qualche incubo che non riusciva a riportare alla memoria.

Notò la presenza di una fila di rocce nere in lontananza e una di queste sembrò muoversi. Si accorse che però non era una roccia, ma un ragazzo avvolto in un mantello nero lungo fino ai piedi.

“Il Cinque di Coppe” pensò lei.

“Benvenuta nella brughiera del dolore” esordì lui.

“Come? Di chi?”.

“Il tuo, naturalmente. Questo posto rappresenta la tua sofferenza” le rispose facendo un ampio gesto con il braccio come per circondarla.

“Soffrirò così tanto?” domandò Aurora piuttosto sconvolta.

“Certo, tutti soffrono, ma ci sono due alternative. Puoi controllarlo, questo dolore, o lasciare che diriga la tua vita e ti trascini via. Chi arriva qui, dopo tanto vagabondare viene lentamente inghiottito dalle Terre oscure. Meglio che tu non le veda, si trovano là – e il Cinque di coppe indicò vagamente delle vallate in lontananza immerse in un buio più duro e impenetrabile dell’ossidiana”.

Il Cinque di Coppe fece una breve pausa prima di riprendere dicendo:

“Poi ci sono i Fumeggianti”.

E si girò indicando alcuni getti di fumo che in quel momento stavano emergendo lentamente dalla terra come piccoli geyser.

“Non permettere mai che ti avvolgano o ti riempiranno del loro niente illudendoti che si tratti della tua direzione”.

Mentre stava finendo di pronunciare la frase, i vapori cominciarono a mischiarsi tra di loro come in una danza surreale per poi unirsi in una foschia dai contorni sempre più nitidi. Si riunirono così in strane forme astratte formando dei volti che le parevano conosciuti…Paola! Era il viso della sua migliore amica Paola e vicino si stava materializzando il musetto del suo cagnolino Mino. Dietro di loro si stavano creando anche altre figure che però non riusciva a distinguere.

“Ci sarà sempre qualcuno al tuo fianco, se vorrai. Anche grazie a loro potrai volare in alto, ma nelle compagnie che troverai, non farti mai il torto di dimenticarti di te stessa”.

Dopodichè il Cinque di coppe svanì nel nulla lasciandola da sola. Aurora si mise in cammino nella distesa che si stava facendo sempre più brulla e triste, quando dal nulla apparve un’alta siepe di rododendro interrotta da un alto cancello di legno. Appena si fermò lì davanti, i battenti si spalancarono all’improvviso e, dopo aver varcato la soglia, si trovò circondata da una luce molto dolce e calda, che ricordava quella del sole, ma era più allegra.

Ovunque c’erano alberi e fiori coloratissimi, che ondeggiando al ritmo di un soffice vento, parevano volersi intrecciare in una danza. Si respirava una fragranza molto dolce, ma delicata, che a differenza di una normale essenza, penetrava nel profondo riempendole l’anima come la più delicata delle poesie.

Si avviò verso un tempietto classico e vide che poco distante c’era una ragazza su un trono con uno scettro e una corona in testa. I lunghi capelli biondi le ricadevano sull’abito bianco ricamato con tanti fiori variopinti. La giovane le rivolse uno sguardo di un azzurro così profondo da darle l’impressione di fare un tuffo nel cielo.

“Benvenuta nel mio giardino” furono le sue parole.

“Grazie. Sei una regina?”.

Sorridendo, l’Imperatrice le disse:

“Sono l’Imperatrice e regno sulla Natura. Sai perché ti trovi qui, Aurora?’”.

“No” le rispose lei.

“La vita ha un messaggio per te. Ti sta dicendo di creare e lo fa tramite il suo linguaggio speciale. Attraverso i suoi molteplici colori vuole farti capire che vorrebbe vedere i tuoi su una tela. Con i suoi canti ti sta chiedendo di comporre melodie in grado di far danzare i cuori più aridi, mentre i suoi segni celesti vorrebbero ricordarti che puoi scrivere qualcosa capace di addolcire gli spiriti del creato. Arrivederci, Aurora”

“Aspetta! Come faccio a creare?”.

“Immergiti in te stessa e cerca la tua frequenza. Circondati di animali e, osservandoli con il cuore, impara. Da loro c’è sempre da imparare. Non dimenticarti mai della Natura perché essa ti ama e per questo ti consente di calpestare le sue pietre e di abbeverarti dai suoi ruscelli”.

“Come faccio a sentire la mia frequenza? Ci ho provato, ma è come se fossi disconnessa”.

“Sarai in grado di distinguerla perché la sentirai risuonare al ritmo del cuore universale. Siete parte della stessa anima ed essa è come una farfalla o l’iris selvatico…sappi che non potrà mai mentirti o tradirti e vuole che tu la cerchi. Se sarai in dubbio, impara dalle rondini. Loro capiscono sempre quando è arrivata la primavera ed è giunto il momento di volare”.

Appena l’Imperatrice finì di pronunciare queste parole, Aurora vide che centinaia di fiori si stavano stringendo in aria intorno a lei come in un vortice e in un attimo si ritrovò nella soffitta di casa sua..

Niente sembrava essersi mosso e sul tavolino c’erano ancora la scatoletta e i tarocchi.

“Che viaggio incredibile” pensò Aurora rialzandosi e realizzando che c’erano dei fiori per terra e che aveva dei petali impigliati tra le lunghe ciocche castane.

Nascose con cura la scatolina nel cassetto di un vecchio comodino e scese con molta calma le scale con l’intenzione di uscire nel grande giardino. Le sembrava di essersi appena svegliata dopo un lungo torpore e di doversi riabituare al contatto con la realtà.

Una volta in giardino si girò verso il cascinale come aveva fatto il primo giorno, quando era arrivata triste e stanca con due valigie pesanti. Un cascinale di un bianco ancora più abbacinante, ora che era immerso in un buio pastoso come la vernice, ma stellare. Un cascinale come ce ne sono tanti in Piemonte, con i campi di granoturco che si estendono così vastamente da rendere impossibile la determinazione dei loro confini.

Aurora si sdraiò sulla terra umida, come quando è la fine di tutto, oppure è solo un nuovo inizio, magari più tenero. Osservò ancora i campi pensando a quanto sarebbe stato bello sentirsi bambini ancora una volta fra quelle erbose altezze e cullati da un vento così leggero.

Adesso tutto aveva senso, in qualche modo. La sera con il suo profumo settembrino, i canti delle cicale, le lucette intermittenti delle lucciole, il canto quasi soffocato che proveniva dai più reconditi baratri terrestri. La sua vita era il nesso tra quelle esistenze universali – ora lo sapeva – e capì di non essere diversa dal filo d’erba che teneva fra le dita, destinato a crescere e a fiorire.

Per la prima volta si rese conto delle possibilità che le venivano donate nel periodo fresco della sua vita. Le sembrò di vederle mentre le sorridevano dal cielo come tante costellazioni, che a guardar meglio, parevano splendere anche per lei. Si alzò diretta verso casa, pensando che se imparava a seguirle, forse non si sarebbe mai persa.

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