Il piacere del testo: “Nina Simone tra musica e diritti civili”
di Fabrizio Ciccarelli
“Il piacere del testo” rubrica a cura di Stefano Cazzato
Scrivere di Nina Simone non è mai scrivere veramente “su” Nina Simone. Per farlo occorrerebbe “Essere” Nina Simone, data la complessità della sua anima e l’ansia delle sue attese nei confronti del mondo, sia da musicista che da attivista per i diritti umani, donna nera negli States della falsa uguaglianza. Chiara in tal senso la foto in copertina: espressione decisa e pugno alzato alla Black Panther Party, stesso effetto che suscita “Strange Fruit” di Billie Holiday, una delle prime espressioni del movimento per i diritti civili contro i linciaggi dei neri nel Sud degli States ad opera dei criminali suprematisti del Ku Klux Klan di cui Mr. President Trump non molto tempo fa ebbe a dire “ci sono tante persone per bene tra loro”.
Il violinista Warren Ellis, personaggio al di fuori degli schemi noto per le colonne sonore de “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford” di Andrew Dominik ed “I segreti di Wind River” di Taylor Sheridan, rimase fulminato dall’incontro e nel racconto sembra trasfigurare il fantasma gentile della vocalist in uno specchio emotivo che rievoca quanto accaduto nel corso della performance cui ambedue parteciparono il primo luglio 1999 quando, al Meltdown Festival, lei volle dedicare il massimo di quel che aveva da dare ad un pubblico con le lacrime agli occhi, tanto era in grado di suscitare commozione in coloro che sotto il palco la guardavano negli occhi. Nina era “la provocatrice sempre pronta a correre dei rischi che ci aveva insegnato tutto ciò che ci serviva sapere sulla disobbedienza artistica”. Ellis, chiamato nel suo camerino, fu felice di “entrare nella sua orbita, sapendo che la vita sarebbe stata segnata da quel momento”. Nella prefazione Nick Cave, amico storico dell’Autore, afferma: “feroce e maestosa Nina camminava lentamente, dolorante, e vidi il viso di Warren sbigottito e ardente come fosse in un sogno”. Non se può dubitare, avvertito il Pathos col quale lo strumentista australiano lascia andare le proprie emozioni tra le pagine di questo ricordo. “Avevamo assistito a qualcosa di monumentale, a un miracolo” di un’anima maltrattata dalla vita, che sperava una vita diversa e antispettacolare tanto quanto il chewingum appiccicato sotto il suo pianoforte, segno dell’abbandono dall’Eunice Kathleen Waymon da cui era nata, per perdersi nel Blues, nel Gospel, nel Soul e nelle sue Blue Notes più personali.
Il titolo del libro potrà apparire curioso, quasi riduttivo di fronte alla grandezza artistica di Nina, ma davvero parte tutto da lì: un Chewingum che Ellis fece divenire monile d‘argento, simbolo di una Storia conservata in un sacchetto giallo poi donato alla Biblioteca di Danimarca. Una cura assoluta per un oggetto avvertito come qualcosa di mistico per sopravvivere alle pagine del Tempo: gli oggetti, del resto, possono diventare gingilli da compulsivi del collezionismo o da esaltati feticisti, è vero, ma in qualche caso escono da qualunque parafilia per divenire Soggetti Animati non per compulsione ma per profonda empatia con un’esistenza presa a schiaffi da una società balorda, né più né meno di come Nina l’avvertiva quale segno della Massima Ingiustizia.
Warren Ellis rifiuta la controfigura letteraria, raccontando con spontaneità il trascendente di una sera nella quale avvertì definitivamente il Climax di una spiritualità che avrebbe fatto per sempre parte della sua vita. Come Nina, che non rinunciò mai ad immaginarsi diversa in un mondo diverso una volta entrata nella sua Porta Della Luna, dimenticando quel senso dell’abbandono che in verità lei stessa sapeva davvero impossibile, quattro anni prima del suo volo definitivo.
Warren Ellis, Il chewingum di Nina Simone, La Biblioteca di Ulisse, 2024, 240 pp, € 20