“In medicina e in amore può succedere di tutto”

Lo studio medico dove Patrizio Rigatti riceve i pazienti è nel cuore di Milano. Al piano superiore dell’abitazione vi è una stanza che potrei chiamare di decompressione; un luogo mitico con decine di scaffali che raccolgono memorie e ricerche.

Intervista esclusiva a Patrizio Rigatti di Lucrezia Lerro
Lo studio medico dove Patrizio Rigatti riceve i pazienti è nel cuore di Milano. Al piano superiore dell’abitazione vi è una stanza che potrei chiamare di decompressione; un luogo mitico con decine di scaffali che raccolgono memorie e ricerche.
Ascoltare Patrizio Rigatti fa pensare a quanta vita ha accolto e a quanta ne fa ripartire.
Cinquantacinquemila interventi chirurgici. Tantissime vite salvate.
La stanza trattiene un’atmosfera che infonde tranquillità, quell’aria protettiva ho avuto la sensazione di portarmela dietro dopo l’incontro, ed è fortunatamente difficile da dimenticare non solo il dialogo con il Professore, ma anche il luogo che mi ha fatto pensare subito ad “Una stanza tutta per se” di Virginia Woolf, scrittrice che in un potente saggio sulla malattia aveva detto: “Considerato quanto sia comune la malattia appare davvero strano che la malattia non figuri insieme all’amore, alle battaglie e alla gelosia tra i principali temi della letteratura.” E tra il Professor Rigatti e la scrittrice Woolf trovo molte affinità sul tema malattia e guarigione. Un’associazione, tra i due, immediata. Libera. Alle pareti dello studio del Professore, chirurgo di fama internazionale, quadri colorati, sui mobili ex voto di pazienti grati e devoti a loro volta a chi li ha salvati, e la loro ‘luce’ si mescola a quella che arriva dall’esterno, una luce morbida e a tratti soffusa si diffonde nella stanza. Un luogo protettivo, ripeto.
Il Professore ha un’andatura sicura, l’affabilità è una peculiarità del carattere forte che pare coincidere con una fisicità tonica, lui è un ex atleta, mi racconta che da ragazzo tirava di scherma ed era un gran nuotatore.
L’osservo mentre mi illustra una preziosa collezione filatelica. Dove ripercorre anche la storia di suo padre che era medico in Africa Orientale. Dopo aver mostrato dei cataloghi di rari francobolli uno attira la mia curiosità. Prende una pinzetta come se fosse un bisturi, la mano fermissima, e sollevando il francobollo dell’Africa Orientale italiana del 1936 ne racconta la storia familiare.
Sembra ripercorrere i gesti di suo padre e della sua collezione filatelica sulla storia d’Italia.

Anni trascorsi in ospedale a curare gli ammalati, la sua è una vocazione umana oltre che medica…
Aver vissuto in casa con mio padre Danilo Rigatti, averlo visto come medico accudire il dolore degli altri senza remore di giorni festivi e orari, mi ha consentito sin da piccolo di sbloccare subito i codici di accesso per entrare in relazione con i sentimenti più profondi: l’umanità, il mettersi, per quanto sia possibile, nei panni di chi soffre. Andare in ospedale per me vuol dire curare, togliere il male in sala operatoria. Risolvere i problemi di salute che possono colpirci.
Oltre alle esperienze intense di lavoro in Italia lei ha operato tantissime persone per patologie urologiche anche all’estero.
Ricordo come se fosse accaduto ieri il mio primo viaggio per il Brasile. L’ospedale, i luoghi, i colleghi. Ricordo un prete che aveva una paura irraccontabile di farsi operare alla prostata per via delle voci che giravano su quel luogo. Poi si è convinto e ho fatto l’intervento. Il giorno dopo con il catetere era sul tetto della chiesa che sistemava le tegole e diceva a tutti che neanche si era accorto dell’operazione. Diceva che lo avevamo preso in giro e che non era stato operato. La gente pensava che fosse diventato pazzo.
Il Brasile è stata un’esperienza lavorativa incredibile, luoghi lontani e dove ho lavorato tanto. In quella regione a Nord Est del Brasile gli interventi endoscopici erano ipotetici.
E a proposito di prostata, ripensando a quel prete, lei lo sa che la prostata racconta la storia del mondo?
Il re Sole, Napoleone e tanti altri soffrivano di problemi alla prostata. Fino agli anni anni Quaranta si moriva per ingrossamento della stessa, poi la nuova chirurgia ha cambiato tutto. Sono stato uno dei primi a fare interventi di resezione endoscopica.
Altri luoghi all’estero che ama ricordare?
Cuba. La simpatia dei colleghi cubani per tirare fuori da noi informazioni mediche, non avevano tecnologia, non arrivavano loro le riviste americane, inglesi. L’opportunità di scambio culturale è stato molto importante. C’è stato un congresso importante. C’era fame d’informazione dei colleghi.
Nel 2008 sono stato ad operare in Romania. Ho ricevuto un bellissimo riconoscimento. Avevo fatto un intervento per un tumore alla vescica.
Ha portato un contributo fondamentale, la chirurgia trans coccigea, ne è stato l’inventore…
Era un modo di operare nuovo che permetteva di dimettere i pazienti dopo due giorni, e soprattutto di non avere problemi di impotenza, di incontinenza. Quindi mentre normalmente la chirurgia va molto in profondità con la trans coccigea vedi sotto gli occhi l’anastomosi. E’ un’operazione mininvasiva.
Ho mostrato questo tipi di interventi. Ho eseguito nella mia carriera 55,000 interventi chirurgici.
Lei ha mai subito degli interventi?
Scendendo dall’aereo, una persona mi ha strattonato con la valigia e ho fatto una distorsione sul piede sinistro. Sono stato operato poco dopo a Milano.
Ha mai paura?
Una volta ero a caccia con mio padre, un cinghiale mi ha assalito. Ce l’avevo vicinissimo, con l’aiuto delle persone che erano con noi sono riuscito a scamparla. L’ho allontanato spingendo con la canna del fucile sul suo muso. Uno spavento vero, un momento di paura forte.
E poi spesso avverto l’ansia dei pazienti e me ne faccio carico. Diventa anche mia, anche se in sala operatoria sono calmissimo e determinato.
Quante ore dorme?
C’era un periodo che durante la notte sognavo per intero uno degli interventi chirurgici che avevo fatto durante il giorno. Rivedevo in sogno l’intera operazione e se c’erano stati piccoli errori. Ripercorrevo l’intervento in chiave onirica e aggiustavo anche i minimi errori.
Come si può resistere psicologicamente e fisicamente e per tanti anni in ospedale?
Andarci, lavorarci. Comprendere un’entità tanto complessa come un luogo di cura tanto prezioso.
E’ questione di scelta, scegliamo di fare il medico, oscegliamo di fare il chirurgo successivamente durante il corso di laurea. Io ho incontrato subito il mio maestro Luigi Gallone, un personaggio incredibile, affascinante, gente dalla strada veniva in aula per ascoltarlo. Aveva una cultura immensa. Di teatro, di cinema, di poeti, di scrittori. E’ stato per me un faro, una persona meravigliosa. Entrava lui in un salotto e dopo poco tutte le donne ne restavano affascinate. Aveva scritto un libro straordinario dove ti spiegava la chirurgia anche in chiave ironica. In contrasto con quanto accadeva ad esempio durante il corso di anatomia, per farci capire com’era il corpo umano ci portavano su un tavolo anatomico un cadavere.
È vero che il cioccolato fondente, una piccola dose, mangiata alle dieci del mattino cambia in meglio l’umore delle donne? È una sua scoperta…
Sì lo è, è stato fatto uno studio anche dai miei allievi che avevano documentato questa proprietà.
Lei è l’inventore dell’intervento di trans coccigea come dicevo prima. Ricorda il momento preciso di quando è nata l’idea?
Durante un congresso negli Stati Uniti, il congresso degli urologici americani. Uno studio fatto da un collega americano, e poi ho pensato all’intervento di trans coccigea.
Fondamentale è l’alimentazione nella prevenzione delle malattie oncologiche. Sarebbe importante poter approfondire la questione. Da recenti studi si evince che sono tantissime le morti premature per assunzione costante di cibo ultraprocessato.
Lo zucchero è ovunque, bisogna cercare di limitare quello in eccesso. Per l’apparato urinario è fondamentale, come una persona mangia e beve è fondamentale. Abbiamo tre tubi di scarico, urine, intestino, apparato respiratorio. Sono tre zone vulnerabili.
La sua alimentazione?
Curiosità legittime di lettrici e lettori.
La sera bisogna stare molto attenti a ciò che mangiamo. La mattina il cervello ha bisogno di un po’ di zucchero. Il fruttosio sarebbe meglio. il glucosio fa male.
A casa al mattino bevo tisane miste, mangio una fetta di panettone a volte, a pranzo un panino pomodoro mozzarella se sono in ospedale. A casa mangio pollo, verdure e tanti altri alimenti sani…
Il mio piatto preferito è la lepre in dolceforte. Piatto toscano che faceva mia madre.
Quando non c’era la diagnostica come si faceva a comprendere di quale malattia soffrisse un paziente?
Guardando e ascoltando l’ammalato, che racconta la verità del suo corpo. La pazienza di ascoltare l’ammalato è centrale. Si facevano le diagnosi per intuizione, capendo come siamo fatti dentro.
La sua vita con tantissimi malati, tanti nomi, tante facce, tante storie. Lei opera in più luoghi d’Italia. Lecco, Milano, Faenza, Palermo. Una vita per salvare tantissime vite.
Vuole che le racconti la mia ultima settimana?
Ho tolto, ad esempio, la vescica ad un paziente e gliel’ho ricostruita. Bisogna scegliere il paziente, è un intervento molto complesso. Tolgo un lembo di intestino e lo trasformo. La qualità di vita è molto importante.
Lei che ha sconfitto le paure dei pazienti che relazione ha con la paura?
La paura del paziente te la senti addosso. A volte ti senti vincolato da una situazione che non riesci a risolvere o che non va come avevi pensato. Non vuoi che quell’ammalato muoia.
E l’ansia?
Per delle cose banali, quando sono tornato da Faenza c’era sciopero dei treni e ho avuto ansia per non riuscire ad arrivare in orario a Milano.
E l’ansia dell’alluvione a Faenza?
Ho preso a spallate la porta dell’albergo. Sono ritornato salendo a Faenza su un camioncino. L’unico mezzo di trasporto che mi poteva portare a Milano. Era tutto bloccato.
L’ansia la provo se il malato ha qualche complicazione. In medicina e in amore può succedere di tutto. Ha ragione Virginia Woolf come diceva lei all’inizio.
Tanti sopravvivano, qualcuno non ce la fa. Non mi è mai morto nessuno.
Quando ho cominciato a fare il medico l’anestesia era fatta in modo artigianale.
Non c’erano i misuratori che ci sono oggi. Negli Stati Uniti c’erano cinque sale operatorie e un anestesista in corridoio che andava a richiesta. Un anestesista plurisala.
I tumori professionalii?
Ci sono eccome…
Anche la carne bruciata è cancerogena. Uno dei tumori professionali è quello dei cuochi. Hanno un’incidenza superiore di tumore alla vescica. Respirano il fumo della carne bruciata.
L’intervista è bellissima
Il professor Rigatti è un medico straordinario
Intervista bellissima
Complimenti Lucrezia
Giuseppe Di Summa