Per le mani di mio padre


di Giovanni Lovisi
Ho conosciuto Rio de Janeiro all’età di cinque anni con mio padre. Il viaggio si svolge in treno, che parte dalla cima delle montagne e, dopo cinque lunghe ore, arriva alla destinazione finale. Durante il tragitto, ammiro la verde vegetazione ricoperta di rose primaverili che circondano le colline vicine alla ferrovia. Allo stesso tempo, immagino che la città sia sommersa da un fiume, in un’interpretazione fantasiosa del suo nome.
Tuttavia, quando arriviamo alla stazione centrale, sono molto sorpreso di vedere che la città è simile alla mia, ma molto più grande. Lo stupore per tutto il trambusto della metropoli è percepibile nel sorriso genuino che trabocca dal mio viso. Mio padre, con la sua corpulenza e le sue mani grandi e ferme, mi conduce con sicurezza in ogni angolo della città. E apprezzo tutte le novità che si presentano continuamente ai miei occhi candidi. Il traffico intenso sui grandi viali, gli immensi grattacieli che si avvicinano al cielo e l’andirivieni di folle frettolose che affollano gli infiniti labirinti delle strade.
Gli occhi verdastri di mio padre scintillano di tenerezza e di orgoglio per avermi fatto conoscere una nuova realtà. È come se mi insegnasse a muovere i primi passi in un mondo sconosciuto e misterioso. E con cura fa germogliare il mondo esterno all’interno del mio essere, come se fosse il concime di una pianta che fa crescere i germogli per la sua conservazione.
Dunque, per tutto quel periodo, andiamo a Rio de Janeiro almeno una volta all’anno. Così oggi, dopo tanto tempo, mi rendo conto che la mia scelta di questa città non è frutto della mia coscienza, ma del desiderio dell’anima di mio padre, che guida il mio destino di bambino, sotto l’azione ferma e forte delle sue mani.