6 Maggio 2025
Cilento 18 aprile il rito delle Confraternite

“O madre io mo mi parto”..siamo in periodo di Quaresima e il 18 aprile, sarà nel Cilento il  giorno del pellegrinaggio delle Confraternite 

di Giovanni Farzati

“La cungrèa” del Cilento Antico.

Le confraternite del Cilento Antico e tutto quanto le accompagna, i paramenti, le insegne, la gran croce, i camici, cappucci, cordoni, mozzette, le vesti dal colore pieno e intenso, le loro denominazioni, spiegano un racconto che condensa una storia cristianissima, di “regulae”, osservanze, statuti, decaloghi, bolle papali e decreti vescovili (secondo gli storici le congreghe avrebbero trovato un primo riconoscimento nel Concilio di Lione del 633)” scrive su Facebook l’avvocato Pasquale Feo di Omignano.

Decreti  bolle che hanno disciplinato nei secoli queste speciali aggregazioni composte da laici con tendenze ad assumere connotati non sempre canonici, visti con un po’ di diffidenza da parte delle gerarchie ecclesiastiche. 

Già le loro intitolazioni, con la maiuscola iniziale d’obbligo, ricamate sulle insegne di velluto ostentate nel corteo, recano un fregio solenne, un’enfasi di sacro, una mistica delle forme: “Corpo di Cristo”, “Santissimo Rosario”, “Pio Monte dei Morti”, denominazioni che incutono – un poco –  timore, come se il nome stesso, di per sé, per sola forza di suono, contenesse una sostanza di verità ancora celata da un mistero.
E non sarebbe un mistero da poco, perché nel canto delle confraternite sono contenuti una sospensione, uno spazio di mezzo tra il terreno e il mistico, la tensione tutta umana di scoprire veli ed aprire squarci. Lo si sente lucidamente sintetizzato in quel primo verso di uno dei canti più noti della tradizione cilentana delle confraternite: “Varco le soglie e vedo”, verso di anonimo, degno della migliore tradizione medievale delle laudi.

Nel canto delle confraternite e nel rituale dei movimenti ci sono anche la presa d’atto delle debolezze dell’uomo, il peccato da redimere, il supplizio per le colpe da emendare, un rito di penitenza e di riconciliazione, la passione umana e terrena di conflitto che aspira a richiudersi e censurarsi nella passione sovrannaturale che si svela dinanzi un sepolcro, simulacro tremendo e privo di retorica che contiene il monito laconico su ogni vanità e ricchezza.
Per il Cilento Antico, ossia per i paesi che gravitano attorno al Monte della Stella in particolare, la “congrèa” è appartenenza, identità, segno del limite di uno spazio non più visibile all’esterno né confinato amministrativamente, ma conservato in una teca interiore che affonda in un tempo in cui i paesi si consorziavano in “universitas”, comunità di uomini e donne, di terre e pascoli, di intrecci, parentele, sodalizi, consumati nella stretta cerchia delle mura, tanto da generare una cadenza unica anche nella parlata e nel dialetto, segno del  deposito cerebrale e cromosomico di un carattere che non annienti nemmeno se te ne vai oltre oceano.    
Indubbia è la forza evocativa del canto confraternale cilentano che si articola in un “modo” nel quale riecheggia – secondo alcuni – il millenario modo frigio, lidio, eolio delle sponde dell’Egeo.
Anche l’ateo, preso da un rigurgito di dubbio, potrebbe essere inconsciamente scaraventato sulla scena del Gòlgota, dinanzi l’agonia del Cristo e al levarsi del lamento ormai flebile e stanco delle madonne al cospetto della croce, come se lì, in quell’attimo d’agonia, nel silenzio innaturale, denso e cupo della sera, ci fosse stato davvero uno spalanco di battenti sull’assoluto, poi richiusi, per sempre, lasciando l’uomo nella dannazione di una ricerca.



Foto..La tradizionale processione del martedì dopo Pentecoste a Perdifumo con la locale Confeaternita che ogni anno rinnova il rito del Venerdì Santo..anno 1988

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