23 Novembre 2024

«Personaggi,avvenimenti e luoghi del nostro Sud» a cura di Vincenzo Ciorciari

La personalità e l’esistenza stessa di Maria si annullarono completamente in quelle di un bracciante di Longobucco (Cs), Domenico Straface, che, ribellandosi alle vessazioni di un signorotto di Rossano Calabro, si diede la brigantaggio e venne conosciuto come “Palma”, uno dei più pericolosi e temuti che si rifugiassero nella Sila ma anche uno dei più famosi ed amati dalla gente che in lui vedeva il classico Robin Hood dedito a castigare-rubare solo ricchi e potenti tant’è che in una sola operazione punitiva-dimostrativa uccise, 1864, ben 458 capi di bestiame di due di essi a Campana.

L’uomo non si sottrasse alla fama di conquistatore di cuori femminili, anzi pare che ad essa tenesse più che a quella di ribelle alle ingiustizie piemontesi e nella rete del suo fascino cadde anche la nostra, prendendo così avvio un meccanismo tragico che non risparmiò nessuno dei due protagonisti.

Al raccontare di personaggi che ti invasero il sentimento prima che la ragione, come nel caso specifico delle brigantesse, si corre il grosso rischio di magnificare i pochi episodi conosciuti, di infiorarli e tesserne una trama teatrale, perchè anche i minimi indizi ti portano ad immaginare tante diverse passioni che scuotono le persone e tanti loro atteggiamenti che altrimenti non avrebbero senso.

Nel corso di questo capitolo, è ricorrente parlare della “sindrome di Stoccolma” che ben si addice al comportamento di Maria, ma solo ciò non spiega del tutto la passionalità che lega una donna a un uomo che le uccide davanti agli occhi il padre, che la umilia con il rapporto carnale con altre donne in sua presenza, che infine tenta di liquidarla.

Il drammaturgo ne ricaverebbe il suggerimento per delineare un personaggio attorno al quale costruire un testo ricco di passioni che vanno dall’amore assoluto per l’altro all’annichilimento totale del’io, alla negazione finale di legami di sangue e, niente inventandosi, plasmerebbe con la sua arte la materia prima che la tradizione gli offre dell’eroina … e con tranquillità chiamiamo eroine quelle donne alle quali tolsero tutto, alle quali nei nostri tempi si sta rendendo qualche giustizia, accettando l’invito di Cristina Trivulzio di Belgioioso- Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, pag. 113 – Nuova Antologia di scienze, lettere e arti, Vol. 1 – 1866:

Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita. E ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!

Sono parole di donna che non scomodano discorsi magniloquenti di libertà, di giustizia e di altro ben parlare, semplicemente parlano di felicità che possono raggiungere solo le persone libere e possono aiutare a raggiungere solo le persone giuste.

Le brigantesse vollero essere felici e tentarono essere pure libere, ma si chiusero loro le porte in faccia e, dopo un secolo e mezzo di condanna e di esilio nella memoria collettiva, vengono scoperte protagoniste dell’eterna tragedia femminile. Avessi trovati nell’Ottocento italiano quei tragici greci che cantarono le donne delle loro età ed anticiparono millenni di storia di tutte le donne, avresti trovati ora ritratti, profili, icone di brigantesse nei posti d’onore dei vari capitoli risorgimentali.

Della tragedia personale di Maria apriva il primo atto l’incontro furtivo della ragazza con il Palma, seguivano l’apparire improvviso del padre che, forse, qualcosa minacciò e l’uccisione di questi per mano di Vulcano, compagno del brigante, per timore che si sapesse della loro presenza nel paese, ma, non da escludersi, semplicemente per l’intolleranza che qualcuno potesse rivolgersi loro da pari a pari.

Le passioni non possono spiegarsi, nemmeno prevedersene le conseguenze immediate od estreme, perciò, più che l’assassinio, irragionevole fu l’attaccamento dell’amante dopo l’assassinato del genitore. Da una donna così invasata dalla passione e così plagiata dall’amante non puoi aspettarti che ammettesse concorrenza attorno al suo uomo, anzi il chiodo fisso era di condurlo alla resa delle nozze e confinarlo in un recinto non accessibile a nessun’altra rivale.

Palma, però, seguiva innamorando, rapendo e violentando donzelle come seguiva permettendo che esse violassero la sua sfera privata affettiva, sentimentale e sessuale con il risultato che, volendo un pò sdrammatizzare, spesso gli riusciva impossibile controllare improperi, sfuriate di gelosia e qualche graffio della possessiva donna che si ostinava a ritenersi l’esclusiva padrona del brigante.

Una siffatta Santippe diventava insopportabile anche al brigante più rotto ai quotidiani pericoli propri del mestiere, sicchè questi si inventò con il suo braccio destro una missione alla quale partecipasse anche Maria ma il viaggio terminò in un dirupo ove fu scaraventata, sicuri i due che per lo impervio e il profondo del burrone non si sarebbe potuta salvare. La fortuna decise di salvarla e il caso decise di farle incontrare il capitano della Guardia Nazionale, al cui servizio si pose e nella cui casa si scrisse l’ultimo atto del romanzo.

A seguito di un furioso combattimento con le forze piemontesi il Palma e Vulcano, malridotti e braccati dai regolari del colonnello Milon, una notte, 12-7-1869, riuscirono a rifuggiarsi nella casa che, appunto, era proprio quella dove precedentemente aveva trovato altro tipo di rifugio colei che sopravvisse al lancio nel burrone.

Ovvio che non è dato sapere come esternasse la sorpresa la Maria, da quali sentimenti venisse scossa, se pensasse al perdono o alla vendetta, neppure come si comportassero il capitano ed i briganti, ma di sicuro si sa che i ricercati riuscirono ad ottenere due cavalli per mettersi in fuga.

A questo punto, l’ultimo quadro dell’ultimo atto. Maria preparò i cavalli, ma immediatamente dopo avvertì i soldati, addirittura li guidò alla caccia di Palma e Vulcano e presenziò alla violenta sparatoria che ne derivò. Calò il telone con la morte di Vulcano e di Maria che si sarebbe interposta ad uno sparo per scudare colui che aveva amato, odiato e tradito, e non troveresti finale più rispondente alla personalità della donna, alle sofferenze che scoprì come figlia e come amante, al travaglio che le costò decidere di distruggere ciò che fu ragione ed essenza di vita.

Resta da porre ordine sul luogo esatto della morte di lei. Qualche fonte riporta la casa del capitano e qualche altra diverge, cioè Maria Brigida muore dissanguata la notte del 12 luglio 1869 nello scontro a fuoco nel bosco di Macchia Sacra in cui viene catturato, il 38enne Domenico Straface. (Marina Greco- Brigantesse, carnefici e vittime del nuovo RegnoRitratti, Agenzia Giornalistica 9colonne del 5.12.2001).

Ugualmente tocca decidere quale ipotesi accettare sulla sorte che toccò al brigante Palma:

Quella di Paolo Granzotto (La verità sulla repressione dei «briganti» in “La parola ai lettori”il Giornale 4.1.2002): In quanto poi alle teste mozze, leggasi questo telegramma inviato da un ufficiale piemontese in servizio «antibrigantaggio» al suo diretto superiore: Catanzaro 13 luglio 1869 – Ill.mo Generale Sacchi, la testa di Palma (nome di battaglia di Domenico Strafaci) mi giunse ieri al giorno verso le sei e mezzo. […] Firmato: il Comandante della zona militare Colonnello Milon.

o quella di Giovanni De Matteo (Brigantaggio e Risorgimento: legittimisti e briganti tra Borbone e i Savoia, pag. 303- Guida Napoli 2000) : Palma scontò nel penitenziario di Portoferraio tutte le sue colpe, anche quella di aver profittato dell’amore della ragazza che sperava in lui.

Cosa di poco conto. La leggenda è Maria.

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