23 Novembre 2024

Elezioni, De Luca scarica il flop sul Pd
e punta dritto alla segreteria del partito

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corrieredelmezzogiorno.corriere

La nota del presidente della giunta regionale arriva a seguito della sconfitta nelle urne e lancia la sfida al congresso dem per il nuovo vertice

Raccontano che Vincenzo De Luca si sia chiuso nella sua stanza e in mezz’ora abbia vergato il documento. C’è chi lo ritiene il suo primo passo per intercettare sintonie utili a sostenere la sua personalissima scalata alla segreteria nazionale del Pd o comunque un avviso di chiamata agli amici (ed agli avversari) dem per annunciare che lui, stavolta, al tavolo negoziale si siederà in prima persona, perché non ha più voglia di subire candidature al vertice nazionale del partito; tanto meno se esse continuano a provenire dalle regioni del centro nord: vale a dire da quei colleghi presidenti (come Stefano Bonaccini) che sull’autonomia differenziata o sul fondo sanitario nazionale di riparto sembrano flirtare più con i governatori leghisti che con quelli meridionali del Pd. E c’è anche chi anticipa che lui al congresso potrebbe essere presente con una sua mozione.

«Avverto fra la nostra gente un clima di depressione, di “fine della storia” — scrive nella nota il presidente della Campania, evocando drammaicamente le tesi di Fukuyama —. Credo sia indispensabile uscire subito da questo stato d’animo. Il colpo è stato duro. Ma occorre reagire con forza. Chi si è stancato, stia a casa. Per chi vuole combattere è necessario guardare in faccia la realtà, con l’umiltà, il rigore, lo spirito autocritico necessariamente spietato, che ci è richiesto ora». Poi, le critiche alla gestione politica e organizzativa del partito: e fa un certo effetto notare lo sdoppiamento che opera, parlando di responsabilità altrui, quando il Partito democratico in Campania è stato del tutto devitalizzato soprattutto a causa sua: «Prima che un problema di uomini e di programmi, c’è un problema di relazioni umane. Nei nostri confronti è cresciuto un sentimento di insofferenza, di estraneità. Veniamo percepiti come un misto di presunzione, di supponenza e di inconcludenza». Questo sempre rivolto agli altri.

«Il nostro linguaggio ha dimenticato le parole della gente normale. Parliamo una lingua morta. Spesso, non ci ascoltano neanche. Offriamo, il più delle volte, un personale politico senza nessun legame con i territori, cresciuto nelle stanze ammuffite delle correnti, o nei salotti pieni di luce e privi di aria. Non si vede gente che provenga dalla fatica e che conosca l’odore della terra bagnata, o il rumore di una fabbrica o l’angoscia di una vita di povertà, di una bottega che chiude, di un lavoro che non arriva mai».

Quindi, gli squilli di riscossa, in qualche modo anticipati ieri dal Corriere del Mezzogiorno dai suoi fedelissimi, i quali hanno parlato di «smontare e ricostruire» tutto. «Occorre scuotersi subito — sottolinea De Luca —. Non è finita la storia. È finita la vicenda di una forza politica, che non si è data una identità programmatica chiara e percepibile, e un modo di essere, di lavorare e di selezionare i suoi gruppi dirigenti sulla base del merito e della militanza. Dopo le elezioni, abbiamo davanti un problema politico enorme: è in gioco, ormai, il carattere di forza nazionale del Pd. Il Sud è scomparso dal suo orizzonte da anni e anni. E in queste condizioni, si rischia di diventare un partito meno che regionale, condannato all’ininfluenza».

È questo il passaggio con il quale si contrappone alle proposte di candidatura che vedono protagonisti il presidente dell’Emilia, della sua vice Elly Schlein, di un’altra emiliana come Paola De Micheli o del sindaco di Pesaro Matteo Ricci. «Ho apprezzato la grande dignità personale e politica espressa da Letta — concede l’onore delle armi al segretario uscente —. Bene un congresso rapido, e quanto più aperto alla partecipazione popolare, e non autoreferenziale. Occorrono chiarimenti di fondo. In questi anni, mi è capitato di segnalare innumerevoli volte le criticità, i vuoti programmatici, le degenerazioni della vita interna. Non ricordo, francamente, dirigenti che abbiano avuto il coraggio di parlare per tempo e con chiarezza. Ricordo solo gente politicamente corretta, e ben nascosta e mimetizzata. Si dovrà parlare anche di tutto questo, in una stagione politica che ci obbliga a un linguaggio di verità. Per il resto, occorre avere fede e senso della storia». E conclude, celebrando lui, uomo del fare: «Con rispetto, attendiamo all’opera i vincitori delle elezioni. Nihil dictu facilius: nulla è più facile che parlare. Governare e decidere, è un’altra cosa».

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