20 Settembre 2024

LE MICROPLASTICHE E IL LORO IMPATTO SULL’AMBIENTE

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di Pasquale Tuozzo

La plastica può considerarsi un simbolo della modernità. La sua invenzione, avvenuta circa un secolo fa, ha rappresentato una rivoluzione nell’industria dei materiali. Da allora si stima siano state prodotte oltre 10 miliardi di tonnellate di plastica. Grazie alla sua versatilità, oggi la ritroviamo dappertutto: nei casalinghi, negli arredamenti, nei vestiti, negli imballaggi e nelle automobili. Persino sulla Luna! La bandiera che nel 1969 l’astronauta Neil Armstrong piantò sul suolo del nostro satellite era di nylon.

Ma che fine fanno i rifiuti di plastica? Secondo uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista “Science Advances”, quasi l’80% dei rifiuti plastici prodotti a livello globale finisce nelle discariche o è disperso nell’ambiente dove è destinato a restare molto a lungo perché la plastica non è biodegradabile. In un anno finiscono in mare all’incirca 8 milioni di tonnellate di plastica. È come se ogni minuto e per 365 giorni all’anno un camion della spazzatura riversasse in mare tutto il suo carico di plastica.

L’inquinamento dovuto alla plastica è diventato oggetto di crescente preoccupazione da quando nell’Oceano Pacifico fu scoperto un gigantesco accumulo di rifiuti galleggianti, esteso forse quanto l’Europa e costituito da decine di milioni di tonnellate di plastica. In seguito sono stati scoperti molti altri accumuli di spazzatura flottante negli oceani del pianeta. Una situazione allarmante anche in considerazione del fatto che la maggior parte della plastica affonda, finendo per accumularsi sul fondale; quella visibile in superficie è dunque solo una parte di quella presente e molti frammenti sono comunque troppo piccoli per essere individuati dagli aerei o dai satelliti.

La plastica presente nei mari e negli oceani è ormai così abbondante da creare gravi danni agli ecosistemi. I rifiuti più grandi possono essere ingeriti dagli uccelli e dai mammiferi marini, oltre che soffocare gabbiani, tartarughe e lontre. Nel 2014 uno studio pubblicato sulla rivista “Science” ha lanciato l’allarme sui pericoli delle microplastiche, abbastanza piccole da essere ingerite anche dai pesci.

I frammenti inferiori al millimetro (le dimensioni di un granello di polvere) sono stati trovati addirittura nello zooplancton, l’insieme degli organismi animali che sta alla base della catena alimentare marina. Non potendo essere digerite dagli organismi viventi, le microplastiche risalgono le catene alimentari e finiscono per accumularsi negli animali superiori, con il rischio di terminare il loro lungo viaggio sulle nostre tavole. I possibili danni per la salute umana causati dalla presenza di plastica nel nostro organismo sono ancora oggetto di studio. Pur trattandosi di minime quantità, gli esperti non possono tuttavia escludere che le microplastiche respirate o ingerite possano diventare un veicolo di batteri e sostanze tossiche. Ai frammenti di plastica si possono infatti legare microbi, metalli pesanti e composti sintetici pericolosi, come additivi industriali o vernici, che rischiano di accumularsi nelle nostre cellule con conseguenze ancora sconosciute.

Purtroppo rimuovere le microplastiche disperse nell’ambiente è praticamente impossibile perché ormai ne sono parte integrante: contaminano ogni ecosistema marino e terrestre, circolando fra gli organismi lungo le catene alimentari. L’unica strada per mitigare i rischi delle microplastiche è quella di ridurre la produzione di plastica e la sua dispersione nell’ambiente, incentivando la raccolta differenziata dei rifiuti, limitando il più possibile l’«usa e getta» e promuovendo alternative più sostenibili.

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