23 Novembre 2024

di Giovanni Lovisi

Arrivavo sempre puntualmente a mezzogiorno a casa dei miei genitori; dopo una mattinata piena di attività scolastiche, avevo il pomeriggio libero per giocare il subbuteo. Trascorrevo ore e ore da solo e mi divertivo a controllare i movimenti di quei giocatori di plastica. Li muovevo come se fossero marionette; così potevo controllare incoscientemente i miei desideri e tormenti infantili più profondi. Con la trasformazione visibile di tutto il mio corpo, tipica dell’adolescenza, c’è stato anche un cambiamento nella realtà che mi circondava. La sicurezza che avevo a casa è stata gradualmente sostituita dall’instabilità delle strade, attraverso nuove relazioni interpersonali che mi incutevano paura e insicurezza. Tuttavia, da solo nella mia tranquilla camera da letto di adolescente, avevo il tempo libero per fare una ricerca introspettiva sulla mia identità personale, che si mescolava con le relazioni conflittuali che stavo vivendo. Ma come potevo risolvere questo conflitto con me stesso e con gli altri con la mia sola introspezione? Forse, se avessi compreso i miei sentimenti e quelli degli altri in modo scientifico, avrei anche capire meglio me stesso e affrontare i miei conflitti interiori.

Dunque, sono diventato psichiatra all’età di 27 anni. Da allora, mi sono reso conto che le storie raccontate dalle persone nella mia pratica quotidiana mi aiutano a rivelare le mie emozioni nascoste dal tempo. È come una combinazione di due mondi paralleli che cercano di trovare un percorso che li guida alla serenità. Ma questa ricerca non è sempre facile e a volte è intervallata da grandi battaglie interiori che impediscono ai fantasmi più dolorosi del passato di riaffiorare.

Insomma, i sentimenti, come il tormento e la gioia, che mi accompagnano fin dall’infanzia sono alla base della costruzione continua del mio lavoro. È un processo di apprendimento costante, che si rinnova con ogni persona che incontro nel mio tranquillo studio medico, perso tra i tanti grattacieli della città. È come se il controllo dei giocatori di plastica fosse sempre uno scopo da raggiungere…

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