ALESSANDRO SORRENTINO RECITA I “CANTI” DI LEOPARDI
dal web – Facebook
Alessandro Sorrentino dialoga con la poesia leopardiana restituendone la musica dell’anima in un tratto specifico cui solo l’emissione fonica può mettere in luce e cioè la struggente intimità della parola e con la parola, del poeta: una tensione e un afflato più che una possibile descrizione di una qualsiasi vicinanza.
L’amoroso approccio alle muse amate di Leopardi, ricordo e speranza, si palesa, ad esempio, con una emozionante prossimità al cuore delle cose sgranata nel pudore vocale. Il gesto fonico di Sorrentino, composto e cesellato, pure appassionato, nel fondo ben visibile di una voce- specchio, ci dona questa grazia. In punta di suoni, di dita vocali, lui ci porta nelle stanze leopardiane più segrete, quelle in cui l’immenso del pensiero poetico leopardiano, il nodo della suprema dellusione esistenziale, si sciolgono in pura VOCE, liquido smeraldo di suoni, che il melos amniotico di Sorrentino screzia in barbagli fonici dalla valenza ermeneutica ma, al contempo, suasivamente affabulatori. Sorrentino coglie, in particolare, il tocco effusivo della poesia leopardiana, il suo sostrato vocale, cui, più e oltre che ai contenuti, è consegnata quella confidenza all’essere, propria di un grande cui sia negata la compagnia degli esistenti e trovi nell’albergo del noumeno la sua vera dimora e la muti in suono, tremante e vivo come davanti alle stelle e all’infinito.
E di questa solitudine vocale, resa più commovente dall’ombra del vuoto affettivo, del no empatico del mondo, Sorrentino ci rende il brivido fonico, nelle impercettibili esitazioni della voce, nel sapiente e spontaneo frenare alcune consonanti, velare le lacrime vocali, rendendo l’esito fruitivo dell’ascolto un’irripetibile possibilità di adesione totale alla poesia leopardiana, un viaggio dentro e da dentro il derma risonante di una Parola poetica sigillata da un’imprescindibile nucleo fonico, la sua unicità vocale.
Gabriella Cinti