25 Novembre 2024

Fratelli De Filippo: Eduardo, Titina e Peppino, figli di Eduardo Scarpetta. Storia di una dinastia del teatro

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Dalla paternità segreta di Eduardo Scarpetta ai primi passi in teatro, dalla Compagnia Umoristica alla turbolenta separazione: la storia dei fratelli De Filippo.

Approfondire la storia dei tre fratelli De Filippo, Eduardo, Peppino e Titina, significa andare alle radici della “Nuova Risata Napoletana”, quella che dagli albori del Novecento ad oggi ha influenzato e influenzerà gli autori e attori italiani. I De Filippo furono Artisti a trecentosessanta gradi: non solo attori di teatro e cinema, non solo valenti autori. Furono direttori di compagnia, poeti, pittori, scrittori, sapienti gestori del loro patrimonio, dell’eredità materiale ed artistica.

Furono tre giovani fratelli affiatati, capaci di scriversi lettere dolci e divertenti; divennero artisti di talento capaci di sbancare i botteghini dei teatri col loro Teatro Umoristico; litigarono furiosamente rompendo il sodalizio, arrivarono alla fine delle loro vite con un’amara consapevolezza: restare più uniti era forse possibile, ma era al tempo stesso necessario, forse indispensabile, prendere, come nel caso di Peppino ed Eduardo, strade autonome.

Eduardo Scarpetta e Luisa De Filippo: i “figli del bottone”

Vi sono dei libri fondamentali per poter ‘accedere’ alla storia dei Fratelli De Filippo con completezza e con equilibrio. Uno di questi è sicuramente la migliore biografia scritta su Eduardo, quella scritta da Maurizio Giammusso (“Vita di Eduardo”, edita da Beat, Biblioteca Editori associati di Tascabili).

Ecco come inizia il racconto di questa epopea teatrale e familiare e come l’autore narra la paternità dei tre fratelli, figli naturali di Eduardo Scarpetta, il re del teatro napoletano di fine Ottocento e inizio Novecento:

Eduardo nacque a Napoli, il 24 maggio 1900. La sorella Titina, diminutivo di Annunziata, aveva due anni di più, essendo nata il 27 marzo 1898. Peppino, nato il 24 agosto 1903, era il terzo figlio di quella che lui stesso definirà «una famiglia difficile»; una famiglia sulla quale solo quando i fratelli erano già famosi da quarant’anni si alzò il velo di mistero e di ritegno che l’aveva sempre avvolta.

Fu Peppino, nel 1972, a dire per la prima volta esplicitamente quello che fra gli attori e i giornalisti s’era sempre saputo, ma che nessuno aveva mai osato scrivere fino ad allora: che i De Filippo erano figli naturali di Eduardo Scarpetta, il più grande autore-attore-capocomico napoletano del suo tempo; anzi, che essi erano la sua consolidata seconda famiglia conosciuta e riconosciuta da sempre nella Napoli teatrale, accettata dai parenti e dai compagni di lavoro fin dall’inizio, anche se inevitabilmente oggetto di pettegolezzo, come uno dei molti lussi di un artista ammirato quanto invidiato.

La mamma dei tre fratelli, Luisa De Filippo secondo la durissima (e pressoché introvabile) biografia di Peppino che si intitola “Una famiglia difficile” (Marotta Editore), fu tenuta «al cappio» da questo uomo di teatro famoso e ricco e lo dovette sopportare e subire. Nella biografia eduardiana viene evidenziata anche l’altra versione, quella dell’editore-antiquario Gaspare Casella, «amico sincero» scrive Giammusso, di Eduardo, riportata dal giornalista Orio Vergani. È la versione dei «figli del bottone»:

La madre dei De Filippo faceva la sarta nella compagnia di Eduardo Scarpetta.

Il capocomico aveva, in camerino, un piccolo divano. Quando, durante una recita, sentiva che qualcosa si risvegliava, appena calato il sipario correva in camerino, si strappava un bottone della giacca, chiamava il portaceste e ordinava che gli mandassero la sarta.

Tutti sapevano come si sarebbe risolta la faccenda, su quel tal divanetto… Eduardo De Filippo, Titina, Peppino, sono figli di un bottone.

Eduardo e Titina vissero i primi anni di vita senza Peppino che fu messo fino ai 5 anni d’età balia da una donna nel vicino comune di Caivano. Una esperienza felice, all’aria aperta, che Peppino ricorderà per tutta la vita e di cui fa ampio cenno nella sua biografia. Successivamente i tre vissero a Napoli, in un vicolo del quartiere Chiaia, in via Ascensione 8. E piano piano furono introdotti nel mondo artistico dal padre naturale, definito «lo zio».

Iniziarono tutti con lo stesso ruolo, nella stessa commedia: il Peppeniello di “Miseria e Nobiltà”, figlio di Felice Sciosciammocca-Scarpetta, quello che, ironia della sorte, è ricordato per una battuta sulla sua paternità «Vicienzo m’è pàte a mme!».

La morte di Scarpetta e l’eredità di don Eduardo

Eduardo Scarpetta morì il 29 novembre 1925 a 72 anni; una settimana prima era stato colpito da una gravissima trombosi cerebrale aggravata poi da una polmonite fatale. Il corpo dell’immortale Sciosciammocca fu imbalsamato come era accaduto per un altro grande napoletano, ovvero il tenore Enrico Caruso, deceduto nel 1921.

Il corpo di Scarpetta imbalsamato

Le spoglie mortali furono appese a testa in giù, furono usate damigiane di formalina per preservarlo dal naturale decadimento organico. Due notti di lavoro e il corpo dell’attore defunto fu restituito alla famiglia e a Napoli, impressionante per com’era perfettamente “conservato”, dicono le cronache dell’epoca.

I funerali di Eduardo Scarpetta

Sontuosi funerali, partiti da casa in via Vittorio Colonna: gendarmi municipali, Concerto civico, frati con la croce astile. E davanti, il feretro trasportato dal maestoso carro funebre di Bellomunno, quello usato per il trasporto della salma di Ferdinando di Borbone.

L’eredità per Eduardo, Peppino e Titina

In vita don Eduardo non fece mai mancare nulla a donna Luisa e ai tre figli. Ma all’apertura del testamento Scarpetta, amara delusione: a lei il commediografo aveva lasciato un vitalizio di 200 lire mensili e il mobilio nella sua casa di via dei Mille. Ma niente a questi tre figli. L’asse ereditario era infatti stato diviso solo in seno alla famiglia «legittima» ovvero donna Rosa e i figli Domenico, Maria, Vincenzo.Al primogenito di quest’ultimo, che si chiamava Eduardo, andarono tutti i diritti letterari sull’opera del nonno. Peppino, nella sua biografia, testimonia di aver visto delle buste piene di denaro destinate ai tre fratelli De Filippo. Buste delle quali, tuttavia, non si seppe mai nulla.

La Compagnia del Teatro Umoristico De Filippo

Con l’età tutti e tre i De Filippo sviluppano le loro già evidenti qualità artistiche. E dopo anni di gavetta, all’ombra di don Eduardo Scarpetta prima e poi del figlio ed erede Vincenzo Scarpetta, e, successivamente, in vari teatri a Napoli e in Campania, Titina, Peppino ed Eduardo si fecero conoscere e apprezzare sia come interpreti che come autori. Nel febbraio del 1931 nacque «Il Teatro Umoristico di Eduardo De Filippo, con Titina e Peppino».

Eduardo, all’epoca sposato con l’americana Dorothy Pennington (ebbe altre due mogli, Thea Prandi e Isabella Quarantotti) divenne direttore artistico, Peppino amministratore, Titina la prima attrice. Tanta fatica per emergere ma poi arrivarono i grandi successi di pubblico e di critica a Napoli, fra il Teatro Cinema Kursaal (quello che oggi è il cinema Filangieri), il Sannazzaro e il Reale. Eduardo ancora non si firmava come autore, ma usava uno pseudonimo, “Molise”.

Il litigio fra Eduardo e Peppino

Il Teatro Umoristico aveva conquistato Napoli e rapidamente conquistò l’Italia. Era il 1933. Anni di gioie e di dissapori, anni di frenetica costruzione di copioni messi in scena con favorevole riscontro di pubblico e critica. Fu nel 1942 che con un insanabile litigio – confronto affondava le radici in malumori da tempo covati in entrambi – che Eduardo e Peppino si divisero, sancendo di fatto la fine del sodalizio del teatro umoristico De Filippo.

Una mattina in teatro ci fu un pauroso scontro fra i due, proprio sul palco, per motivi logistico-organizzativi e con varie argomentazioni da parte di entrambi. Racconta Peppino che fu insultato dal fratello maggiore ma che poi, dopo aver lasciato sfogare, contraccambiò: «battendo lievemente le mani, con tono che non eludeva la più chiara ironia, dissi: “Duce… Duce… Duce!»

Nel 1946, quando le carriere di tre erano più che decollate – Titina, sposata con l’attore Pietro Carloni, lavorava ancora con Eduardo – , il commediografo rispose senza slanci ma non con una chiusura netta alla lettera di “riappacificazione” del fratello:

La tua lettera non accusa, non offende, non giustifica: accomoda. Ancora una volta l’amore fraterno affiora e vuol riverniciare a nuovo un pezzo di ferro scalfito prima, su cui la ruggine del tempo ha disperso le tracce delle scalfitture…

No, caro Peppino…

Minuziosamente dobbiamo prima, insieme, grattare tutta la ruggine, rimettere alla luce tutte le scalfitture, individuarne l’autore…

E poi la vernice dell’amore fraterno saprà mettere a nuovo e rendere lucente questo pezzo di ferro che nulla di male fece per meritare un accomodamento ipocrita.

Filumena Marturano, scritta per Titina

Filumena Marturano, uno dei capolavori assoluti del teatro italiano del Novecento, fu scritta da Eduardo pensando a Titina come protagonista. Dopo il debutto napoletano, il 7 novembre 1946, al Politeama, Eduardo rimise in prova il testo, un fatto inusuale. Insomma, non era soddisfatto. E non era soddisfatto soprattutto di Titina.

Alle rimostranze della sorella, incredibilmente sotto pressione, Eduardo rispose con una frase “liberatoria”. Lo sappiamo perché è Titina stessa a dirlo, nella biografia, bellissima e fondamentale, scritta dal figlio Augusto Carloni “Titina De Filippo: vita di una donna di teatro”, (Milano, Rusconi, 1984):

Se io ho scritto questa commedia è perché mi fidavo di te, perché avevo la tua voce nell’orecchio. Ma hai detto bene tu: fa’ come credi, ti lascio libera, recita pure come ti pare!

Titina riprese la prova e si sentiva un’altra, sollevata, racconterà nel suo diario. Fu a gennaio del 47, al teatro Eliseo di Roma, che la magia accadde: Titina trionfatrice della serata. A Milano ebbe trentatré chiamate al finale fra applausi e lacrime.

Titina scrisse nel suo diario di questa enorme emozione. A distanza di decine d’anni queste parole restituiscono ancora tutto il loro carico di umiltà, di dedizione, di passione verso il mestiere dell’attore e verso uno dei copioni più potenti del nostro Novecento:

Vibravo, mi muovevo, fremevo, gridavo. Eccolo il mio personaggio! Lo avevo ghermito, palpitava nelle mie mani come una farfalla, e lo stringevo, lo stringevo, dicendogli con gioia: finalmente, grida, urla, piangi… Ecco, così ti volevo: violenta, fredda, calma, tragica, comica. Ah! Filumena, ti tengo, ti tengo. Non mi scappi più! Ti porterò con me tutta la vita.

La morte di Titina De Filippo

Titina De Filippo, gravemente malata di cuore, morì a 65 anni, il 26 dicembre 1963. Il primo ad arrivare nella casa della grande attrice fu il suo caro amico Totò, che restò la notte a vegliarla, da solo, in attesa che Eduardo e Peppino, lontani per lavoro, giungessero a Roma. Racconta il biografo di Eduardo che si presentò alla camera ardente anche «un uomo cinquant’anni, in divisa da tranviere. Si sedette e balbettò al figlio e al marito, che lo guardavano interdetti: “Scusate… Le voglio stare vicino… Pur’io… Come i figli di Filumena… mia madre….”». Sempre nella biografia di Peppino, ricca di particolari quanto velenosa, si racconta di un furioso litigio tra i due fratelli su dove seppellire Titina.

La morte di Peppino De Filippo

Peppino De Filippo morì di una patologia al fegato il 26 gennaio 1980. Lui e Eduardo si erano visti a Napoli qualche mese prima, quando le condizioni di Peppino si erano aggravate; a quarant’anni dal loro litigio. Eduardo alla morte del fratello si espresse con parole asciutte, nette:

Peppino da vivo non mi mancava, mi manca molto adesso.

Vuol dire che così doveva andare. Peppino non era cattivo. È stato un grande attore. È stato un umorista, collaboratore mio in quell’epoca. Però i mercanti gli sono stati attorno. A migliaia. I mercanti che lo volevano, che lo assediavano per la loro cassetta.

Lo riempivano di complimenti, di regali. Lui credeva più a questa gente che a me. Se avessi parlato non mi avrebbe creduto. Ho tentato di farlo. Si finiva a lite.

Lui si accontentava di fare da spalla agli altri attori, quando la spalla gliel’ho fatta io per tanti anni. Solo questo volevo dire.

Non ho mai risposto a tutto quello che ha scritto, a tutto quello che ha detto di me.

Ho pure sentito rancore per lui. Adesso mi manca. Questo vi posso dire. Come compagno, come amico, ma

L’addio di Eduardo De Filippo

C’è un intervento di Eduardo, datato il 15 settembre 1984, pronunciato nel teatro greco di Taormina, in Sicilia, che è il testamento morale del grande commediografo italiano. Eduardo sarebbe morto il 31 ottobre dello stesso anno. In questo intervento non solo spiega il senso del suo lavoro, della sua vita da uomo di teatro, ma “presenta” anche il suo erede, quel Luca De Filippo che purtroppo ci ha lasciasti troppo presto.

Qualcuno dice di me che sono un orso, che sono scostante. Ma soltanto questo carattere mi ha consentito di fare quello che ho fatto. Fare teatro sul serio significa sacrificare una vita. Sono cresciuti i figli e io non me ne sono accorto…

Meno male che mio figlio è cresciuto bene. Questo è il dono più grosso, più importante, che ho avuto… dalla natura.

Senza mio figlio, forse, io me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa. Io devo a lui il resto della mia vita.

Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se faccio questo discorso e parlo di mio figlio. Non ne ho mai parlato.

Si è presentato da sé, è venuto dalla gavetta, dal niente, sotto il gelo delle mie abitudini teatrali.

Quando sono in palcoscenico a provare…quando ero in palcoscenico a recitare…

È stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo!

I film e i libri su Scarpetta e De Filippo

Nel corso degli ultimi anni sono stati prodotti alcuni film per il cinema e la tv che hanno raccontato la vita della famiglia Scarpetta e dei tre fratelli De Filippo. “Qui rido io” di Mario Martone (2o21) racconta l’epopea di don Eduardo, i figli naturali e legittimi, la sua disputa legale per plagio contro Gabriele d’Annunzio. Poi c’è “I fratelli De Filippo” di Sergio Rubini (2021) che invece si concentra su Titina, Eduardo e Peppino nella prima parte della loro vita, dall’infanzia ai trent’anni. Ci sono anche alcuni documentari rilevanti, soprattutto su Eduardo, come “Il nostro Eduardo”, realizzato in occasione dei 120 anni dalla nascita del commediografo.

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