Prospettive tra psiche e società
“Psiche, che significa anima, io, viene simboleggiata dalla farfalla, anima sfuggente che ha una vita così breve. È lieve, difficile da cogliere, catturare”. (Daniela Ferrari, curatrice della Mostra: “Psiche allo specchio. Omnia vincit amor”)
L’attuale visione che l’uomo ha di sé è caratterizzata da una profonda ambivalenza: da un lato, è convinto di avere il potere divino di creare l’intelligenza artificiale o persino la coscienza; dall’altro crede sempre più nella superiorità delle sue macchine antropomorfe. La struttura narcisistica che l’uomo premoderno articolava in rapporto a Dio trova oggi un nuovo modo di dialogare attraverso la macchina intelligente. Così si esprime Thomas Fuchs, che ha scritto un attuale e condiviso volume: “Che ne sarà dell’essere umano? Appello per un nuovo umanesimo” (Castelvecchi, 2024), ed ha riproposto il suo pensiero nell’ambito del Festivalfilosofia 2024, che si è tenuto a Modena, Carpi e Sassuolo dal 13 al 15 settembre, con al centro il tema psiche.
È interessante osservare come la parola psiche evochi il complesso delle funzioni psicologiche degli individui, ma anche quel principio, pur connesso al corpo vivente, che in qualche modo se ne distingue fino ad assumere una propria autonomia. Si sviluppano nei secoli due impostazioni: la prima che concepisce la psiche come espressione mentale della realtà corporea; l’altra che intende un’entità collegata ma pur concettualmente distinta dal corpo stesso.
Oggi la dimensione psichica si confronta con le connessioni legate alla coscienza e al corpo, in considerazione anche delle attuali risultanze della ricerca scientifica. Ed allora la questione psichica evidenzia l’intensificarsi di un disagio che determina emergenze collettive e chiama in causa le istituzioni della società.
In questo intervento, intendo proporre alcune questioni che riguardano il rapporto tra psiche e società, riprendendo le concettualizzazioni di pensatori che hanno partecipato alle agorà che si sono affollate di gente in occasione del Festivalfilosofia 2024.
Psiche, psyché, è un termine tradotto in “anima”. L’etimologia (dal greco ψυχή, connesso con ψύχω, respirare, soffiare) riconduce all’idea presso i greci del respiro vitale: la storia di questo concetto viene a coincidere con quello di anima, anche se c’è distinzione, nel pensiero filosofico greco, tra l’essenza dell’anima da ciò che invece viene riferito al corpo e alla materia. La differenziazione tra corpo e anima è presente ad esempio in Omero, che considera come l’alito vitale, che spira dalla bocca di colui che muore, finisca con l’unirsi agli altri fantasmi nel regno di Ade. Sempre nel linguaggio omerico, gli organi del corpo vengono descritti separatamente e non come parti di un tutto che li unifica: il corpo è altro dalle funzioni psichiche, emozioni, intelletto.
Sul ruolo di mediazione tra spirito e materia, visibile e invisibile, Giulio Guidorizzi e Ivano Dionigi hanno svolto interventi dedicati rispettivamente alla trasformazione del significato greco di psyché da soffio vitale ad anima, e alla duplicità concettuale che in latino distingue “animus” (concetto psichico) e “anima” (principio vitale).
Una prima unità si trova in Platone che nel Fedone osservava come, fino a quando noi siamo in possesso del corpo e la nostra anima resta in esso, non raggiungeremo mai ciò che desideriamo, ossia la verità. La scissione ontologica dell’anima dal corpo è presente nella visione cristiana, che sposa il principio ebraico per il quale il male è nella separazione dell’uomo da Dio, identificando lo spirito divino con l’anima. Diversa è la posizione di Aristotele, per il quale non si può parlare di un’esistenza dell’anima separata dal corpo, dal momento in cui tutte le sue affezioni (coraggio, dolcezza, audacia, ecc…) si producono come fenomeni collegati al corpo e alle sue modificazioni.
Detto questo, passiamo a ciò che psiche rappresenta nell’attuale società, un termine che è stato affrontato nelle sue differenti sfaccettature, anche se riconducibili al rapporto tra individuo/individualismo e corpo/società, argomentazioni affidate a filosofi, sociologi, antropologi, neuroscienziati e tante personalità del mondo intellettuale.
Ciò che è emerso in maniera chiara è il rapporto tra psiche e società, nelle forme unitarie in cui i due termini entrano in relazione, attenuando le distanze tra individuo e condizioni reali della sua esistenza. Lo stesso Fuchs, citato in apertura, non può che convenire sul rapporto di una mente (coscienza) che non può esistere se non nel corpo e nel rapporto con l’organismo esterno nel senso fenomenologico del mondo-della-vita (il “lebenswelt” di Husserl). È l’essere umano che entra nel mondo (società) dove esprime una psiche che è corpo e vissuto.
Dunque, la psiche sembra regolare i comportamenti dell’uomo in rapporto con la società. In questa dinamica interazionale è coinvolto l’uomo in quanto individuo, che implica una “salute mentale” (Alain Ehrenberg) necessaria per insistere nella sua vita quotidiana, in cui salute è in senso positivo (empowerment), come organismo perfettamente funzionante che si rapporta agli altri. Oggi c’è un cambiamento di orientamento emotivo in cui il pubblico declina a vantaggio dell’individuo/Narciso, ed Edipo (il consenso morale e sociale) lascia il posto a Narciso (individualità, individualismo, disimpegno). L’accelerazione della dimensione individualista sviluppa una nuova soggettività in assenza di ideali. L’indebolimento dei legami sociali riduce i soggetti a cose, dove è importante la politica del riconoscimento, dove il malessere si ritrova nel superamento della domanda: è giusto o sbagliato?, che al contrario diventa: cosa succede intorno a me? C’è una confusione che contrappone individuo e collettivo, con la posizione della glorificazione dell’individualismo che produce una rappresentazione collettiva normativa. L’individuo è valore, e per riproporlo occorre puntare alla salute mentale intesa come linguaggio, per superare le rappresentazioni collettive come antinomie individuali. Nella società tradizionale c’è il rispetto degli antenati, in quelle attuali c’è l’autorealizzazione, il pensare a se stessi. Si passa dall’individuo disciplinato all’individuo autoreferenziale. Si riscontrano antinomie nell’autonomia di agire: mancanza di autorità, consumo, liberazione dei costumi. Nello scenario in cui si sviluppano comportamenti legati ad una società edonistica e individualistica è necessario attuare, sostiene Ehrenberg, terapie per normali (concetto di salute mentale), volte ad aiutare nella vita per trovare autonomia come condizione di emancipazione (diritti umani), valorizzazione dell’azione, una società di agenti. Le aspettative collettive sono volte alla gestione della normalità, attraverso autonomia, cooperazione, relazioni, riduzione delle distanze sociali, allentamento controllato dei controlli, vincolo della non costrizione. Sono queste nuove forme di regolazione sociale, dal momento che Narciso necessità di agire trasversalmente, con azioni che diano valore, ovvero agire con efficacia come individui attivi. Questo è l’elemento centrale della socializzazione che implica responsabilità rispetto alla propria azione. Diventa importante la salute mentale, con approcci centrati non sulla patologia ma sulla potenzialità individuale: “autocontrollo e gestione delle emozioni” per superare le patologie della stessa libertà. Gli aspetti fondamentali della vita sociale sono di attenuare i disturbi sociali e i disturbi della persona. Occorre cercare di fare affidamento sul potenziale nascosto della persona, trasformando l’handicap in positività e acquisendo la capacità di passare alla prospettiva di ripristinare i poteri di agire, un nuovo progetto di vita.
Produco altre due considerazioni sul rapporto tra le dinamiche sociali attuali e le possibilità di indicare eventuali prospettive sul rapporto tra sé/individuo e altri/rapporti sociali.
La prima è di Massimiliano Panarari con il concetto di fluttuazioni emotive, che pervadono l’incertezza della condizione umana attuale, fatte di identità fluttuanti, in cui non si riesce più ad organizzare lo spazio/tempo all’interno dell’esistenza. L’accelerazione della vita è quantitativa, ovvero fare più cose in minor tempo, con la forzatura dei cicli naturali. L’accelarazione delle azioni diventa separata dall’intenzianalità, una sorta di autopoiesi, con l’annullamento del tempo previsto. L’esempio è la finanziarizzazione della società e la consequenziale crescita incontrollabile e ingestibile. L’esuberanza dei mercati si alterna al pessimismo irrazionale (da qui le bolle speculative). Le emozioni non sono razionalizzabili e si produce l’effetto gregge, in cui le persone seguono solo gli impulsi. La politica non è da meno con le fluttuazioni emotive e la regola del carisma del leader.
La seconda può essere affidata a Barbara Carnevali che si cimenta sul problema del riconoscimento nel rapporto tra sé e l’altro/altri. Sartre alludeva ad una sorta di dipendenza multipla dagli altri di cui non si può fare a meno. I tre presupposti del suo intervento sono: amore, diritti, considerazione sociale, ovvero la questione legata a questi rapporti.
C’è oggi una relazione ambivalente che si basa su un rapporto imitativo e competitivo, che contraddice l’uguaglianza sociale. Desideriamo le cose degli altri perché ci interessa l’altro nella richiesta di riconoscimento: ho bisogno dell’approvazione sociale, perché il sociale salva o condanna. È divino e demoniaco allo stesso tempo, che coinvolge tante entità.
La domanda è: come uscire dall’inferno degli altri? Agire sull’etica, aprire la porta e trovare se stessi, osservare l’autenticità (sul modello di Heidegger, Kierkegaard). Uscire dall’inferno del sociale e ritornare a se stessi, realizzando noi stessi. Nel riconoscimento dell’altro c’è il ricatto legato alle aspettative degli altri. È da auspicare il ritorno al soggetto consapevole (Foucault), un soggetto come un prodotto storico-sociale. Si deve trovare il sé autentico, il sé naturale che trascende la società (Rousseau), recuperando noi stessi. Per Sartre l’autenticità è progetto: devo costruire il vero per superare il rapporto malsano con l’altro. Il sé è un continuo aperto che viene dalla ripetizione che c’è nel sociale: profondità, identità (non come fissa, statica), essenza, margine di libertà.
Occorre aprire una via per uscire dal determinismo. Si tratta di scarti, momenti per attivare possibilità verso direzioni non previste (Foucault introdusse la piega). Occorre dire: No!; Non sono così!; Non coincido con qualcosa che in cui non mi riconosco!
Non mi devo per forza riconoscere negli altri se non mi vedo negli altri. Non devo per forza far coincidere il mio pensiero con quello degli altri. Devo riflettere, mediare si, ma scardinare anche meccanismi automatici. Non dobbiamo uscire dalla stanza, sostiene Carnevali, per rimanere soli, ma trovare altri soggetti, ricomporre le relazioni e aprire al nuovo. Non occorre solo perseguire la ripetizione dell’identico.
Argomentazioni interessanti riguardano le nuove relazioni tra lo psichico e il politico che ha vaste implicazioni rispetto alla questione più generale dei rapporti tra individui e comunità, le interazioni tra le istituzioni e le nostre vite singole. Sul piano teorico, è in atto uno slittamento dalla “biopolitica” (potere sulla vita) alla “psicopolitica” (potere sulle coscienze), che corrisponde alla progressiva psicologizzazione dei legami sociali, ossia al peso delle emozioni nella costruzione dell’immagine di Sé. Da qui il passaggio “da Edipo a Narciso”, ovvero l’emersione di patologie dell’identità, più legate allo status sociale e morale, cioè al riconoscimento, rispetto alle patologie nervose di cui si occupavano Freud e la psicanalisi classica. Vittorio Lingiardi ha offerto un esempio della possibilità di individuare tante forme di narcisismo, perché esso non può essere racchiuso inn una sola definizione. In: “Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo” (Einaudi, 2021), ripreso in questo consesso, Lingiardi scrive: “Narciso cammina su una corda tesa tra un sano amor proprio e la sua patologica celebrazione. Tra questi estremi c’è il narcisismo delle nostre vite quotidiane, condizionato dal contesto culturale e decisamente in crescita. Pieno di sfumature e riflessi, il narcisismo è un arcipelago di possibilità”. Sul narcisismo lo specchio è il simbolo dell’illusione, perché ciò che vediamo è solo il riflesso; ma è anche simbolo della conoscenza perché guardandomi mi riconosco. Tiresia diceva che Narciso per essere tale non dovrà conoscersi: “egli è ucciso dalla conoscenza ed è tale perché non fa i conti con l’altro”. La conoscenza è dura e produce novità, rompe gli schemi prefissati e già acquisiti. Del resto, in una chiave psicoanalitica, la stessa acqua che riflette l’immagine è anche sorgente, la forma liquida della psiche (Lingiardi).
Sulle diverse etiche del sé, che caratterizzano la società individualizzata, Umberto Galimberti ha ricostruito il luogo dove alberga Psiche: ciò richiede un’operazione di genealogia culturale per inquadrare il contesto nel quale si è compiuta la rivoluzione della psicanalisi, con la teoria del soggetto e dell’inconscio che hanno sovvertito il modo in cui la ragione filosofica aveva fino ad allora presentato questa dimensione. Quest’ultima è la tesi anche di Massimo Recalcati, che ha definito l’inconscio personale e collettivo, anche se pare che nel nostro tempo c’è l’uomo senza inconscio, smarrito nella sua capacità di godimento, ovvero un essere che persegue “una libertà senza limiti, un falso permissivismo, un culto feticistico delle merci, un corpo come idolo da venerare”.
Michela Marzano sostiene che non sappiamo più chi siamo, invischiati in un sistema di “aspettative esterne che condizionano la costruzione della nostra identità”. Manca comunque il coraggio di accettare le proprie fragilità ed esplorare il proprio essere in maniera autentica. Per lei la strada da percorrere è “l’educazione alla complessità”, per esplorare “la pluralità delle possibilità”.
Eppure queste possibilità non sembrano a portata di mano, dal momento che si affermano “identità digitali” che generano ansia, insicurezza e frustrazione, inadeguatezza. Matteo Lancini sostiene come i figli non abbiano più il diritto di sperimentare le emozioni perché impegnati a “non disturbare i genitori facendoli sentire inadeguati”. Esiste un paradosso educativo: gli adulti non sanno adeguarsi ai tempi che corrono e “i ragazzi sono spesso considerati come strumenti per soddisfare il loro ego”.
Nelle attuali società è rilevante il rapporto tra fronte filosofico e scientifico che si interroga sulla coscienza, intesa in “modo incarnato, ossia riconoscendo che la vita organica è indispensabile per avere capacità di sentire, perché mente e cervello possono operare solo se immerse nel corpo” (Francesconi). Se si traccia la traiettoria moderna, l’idea di certezza ed evidenza del sé, siamo condotti fino alla teoria della mente, alle scienze cognitive e al dibattito sul cervello come organo della coscienza (Anil Seth e Thomas Fuchs).
La relazione che si stabilisce tra cervello e ambiente, mente e materia è legata all’evoluzione delle tecnologie diagnostiche, oltre che alle diverse mediazioni tecnologiche che impattano sui nostri sistemi percettivi. Su un piano epistemologico, la questione della relazione tra mente e percezione è racchiuso nel dibattito sul “mentalismo logico” (Nicla Vassallo); all’intreccio tra mente, tecnologie e percezione, ponendo la questione se le macchine possano essere coscienti, è dedicata la lezione di Maurizio Ferraris. Egli distingue tra intelligenza naturale e artificiale, in cui la prima è molto più che intelligenza giacché comporta “sentimenti, paure, desideri” ed è dominata dalla “volontà”. Il filosofo è convinto che la macchina avrà bisogno di un utente umano, perché per essere coscienti ci vuole un corpo, la percezione di sé, “la proiezione in avanti dell’ansia e la proiezione indietro della nostalgia”. Una cosienza senza corpo è impossibile, perché “emerge dall’organismo non dal meccanismo”.
A me pare che sul rapporto tra psiche e società si debba costruire il senso dell’uomo attuale, con le sue forme di individualismo esasperato che vanno indagate per evitare che Narciso, insensibile all’amore, incapace di amare, che nutre il culto della bellezza, della superbia, del disprezzo, della freddezza, ma è legato a depressione, solitudine, disperazione, illusione, possa continuare a crescere caratterizzando il senso della nostra umanità.