23 Novembre 2024

Diamo il benvenuto a tutti i lettori di La voce del meridione su una nuova rubrica, a cura di Stefano Cazzato, Il piacere del testo, dedicata settimanalmente ai grandi libri del contemporaneo, ma anche agli outsider, agli emergenti, agli autori che, trasversalmente ai generi, hanno qualcosa di nuovo e di diverso da dire rispetto al mainstream dominante, non importa se pubblicati da importanti case editrici o dalla piccola e piccolissima editoria. Voci consolidate e voci da scoprire. Il logo della rivista è dell’artista Petra Scognamiglio. Cominciamo con Ucronia di Emmanuel Carrère.

Il reale e il possibile

di Stefano Cazzato

Tra l’utopia (ciò che non è in nessun luogo) e l’ucronia (ciò che non è in nessun tempo) ci sono sicuramente analogie: l’insoddisfazione per il presente, il desiderio che le cose possano andare diversamente, il lavoro dell’immaginazione che non si accontenta di ciò che è, ma va fuori, spinge oltre, tocca i limiti dell’esistente e spesso li supera.

Ma – come argomenta Emmanuel Carrère in quella che originariamente è stata la sua tesi di laurea – c’è una differenza fondamentale: l’utopista, maneggiando il futuro, può ancora ragionevolemente sperare che il suo disegno si realizzi, se non in tutto almeno in parte, mentre l’ucronista, a meno di diventare pazzo e di perdere completamente il contatto con la realtà, non può ragionevolmente sperare di modificare il passato, anche se questo sarebbe il suo sogno. Ed è forse questa la ragione, cioè il maggior grado di fattibilità, per cui l’utopia ha riscosso nel corso del tempo molto più successo dell’ucronia.

E tuttavia, se l’ucronista non può modificare il passato, può esplorarlo attraverso i se, sperimentare come sarebbero andate le cose se questo non fosse successo e fosse successo quest’altro, manomettere attraverso la logica dei possibili il corso apparentemente inesorabile della storia: cioè minare alle fondamenta il determinismo, separare cause ed effetti, dissinescare la necessità storicista, insinuare dei sospetti sull’ “implacabile autorità di ciò che è stato”. E che poteva anche non essere o essere in cento modi differenti.

A partire dal fondatore del pensiero ucronico, il filosofo francese Charles Renouvier che nel 1876 fu il primo a usare come titolo di un suo libro il termine ucronia, Carrère ci trascina nel mondo dell’immaginario che – a pensarci bene – poteva essere reale non meno del reale che è stato.

Se Ponzio Pilato avesse deciso diversamente, se Hitler fosse stato ucciso, se Napoleone … e così vià in quel gioco mentale di falsificazione e di alterazione della storia che non risponde alle esigenze della scienza, ma al mondo degli affetti: “la molla del pensiero ucronico, che scatti sotto la pressione del rimpianto o sotto quella del sollievo, è decisamente di tipo affettivo.”

E. Carrère, Ucronia, Adelphi, 2024, pp. 160

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