Una questione Spinoza
Filosofia per tutti e per ciascuno
Rubrica a cura di Stefano Cazzato
Che tragico destino quello di nascere Benedetto e di vivere e morire da maledetto! La questione che affrontò il nostro filosofo fu molto spinoza: discettare, con assoluta libertà, intorno al concetto di Dio, dicendo cose così blasfeme per il suo tempo che i suoi nemici, dopo averlo scomunicato, attentarono direttamente alla sua vita.
Si salvò per miracolo, lui che i miracoli gli aveva sempre liquidati come superstizioni inventate dai potenti per mantenere il controllo sul popolo. Anzi fece di più: negò i miracoli proprio per salvare l’esistenza di Dio. Se Dio li avesse fatti – ragionava Spinoza – avrebbe violato le leggi di natura da lui stesso fissate in modo inviolabile. Certo: si può sempre sostenere che quelle leggi non funzionano, e allora Dio ha sbagliato a farle (ma può un Dio sbagliare?), oppure, se funzionano, non c’è motivo che Dio le cambi.
Per queste e altre eresie (come la negazione del finalismo) fu costretto a scappare dalla sua città, a rinunciare alla filosofia, almeno pubblicamente, per dedicarsi alla fabbricazione di lenti. Da ostico divenne ottico, e ciò gli consentì di vedere cose che mai avrebbe visto se fosse stato un filosofo ammirato e adulato. Scrisse libri meravigliosi e difficili ma fu costretto a pubblicarli in modo anonimo (Il Trattato teologico-politico) o non pubblicarli affatto (l’Etica).
Del resto, chiunque gli si fosse avvicinato, per prendere lezioni da lui, sarebbe stato a sua volta maledetto e allontanato dalla Sinagoga e dalla comunità dei credenti ortodossi. Cane, diavolo e infedele sono alcuni dei gentili epiteti che gli rivolsero.
In realtà Spinoza, più che mettere in discussione l’esistenza di Dio, il quale è quello che deve essere indipendentemente dalle idee più o meno strane che possiamo farci di lui, mise in discussione la sacralità delle scritture. E sapendo che gli uomini, per ignoranza o per convenienza, potevano travisarne il senso, pensò che fosse necessario un altro dio per interpretarle. Incaricò infatti Hermes di metter in guardia gli uomini da una cattiva interpretazione della Bibbia e fondò l’ermeneutica cioè la scienza dell’interpretazione dei testi sacri.
Apriti cielo! Ad Hermes, un dio pagano, un dio del logos, venivano date le chiavi per accedere alla parola di Dio? Che cosa era mai questa? Che c’entravano la fede, l’obbedienza, i sacri misteri con le definizioni e le dimostrazioni? All’amore di Dio sostituì il more geometrico, cioè la fede nella scienza, nel rigore, nella ragione. E questa libertà di filosofare gli rivelò che Dio, se proprio vuole qualcosa, vuole che l’uomo sia felice. Più che un diritto, quello della letizia è un conatus, cioè un irrefrenabile desiderio di potenza. Ma la potenza per Spinoza non il è potere (che lui combatté sia nella forma dell’assolutismo politico che in quella del settarismo religioso), ma la potenzialità, o meglio, la realizzazione delle proprie possibilità, della propria natura. Solo un uomo o un nume invidioso può negare il diritto dell’uomo alla letizia. Ma un uomo invidioso può esistere, un Dio invidioso no, altrimenti non sarebbe un Dio.