Il SOGNO DI CARMELA
di Alfonso Leonzio Fortunato – Rubrica L’Angolo Letterario
Aveva legato al portone di casa un corno di bue, aveva fatto dire anche messe a Sant’Anna, ma era stato come pestare acqua nel mortaio. Perciò, afflitta e abbandonata dalla protettrice delle partorienti, si rivolgeva alla Madonna delle Grazie del paese vicino, percorrendo, digiuna e a piedi nudi, tutti i tragitti delle processioni. Intanto, la gente del paese si divertiva alle sue spalle. E tanto più ridevano di lei, tanto più Carmela se la pigliava con il povero marito. << Una donna senza figli, non ci andare né per soldi né per consigli>> avvertiva la gente del paese.
Litigava con questa e con quella, sfogava la sua rabbia con la vicina, tanto che le chiudevano, ormai, tutte le porte in faccia. In preda alla disperazione, si gettava davanti alla Madonna a pregare, restando per delle ore con la testa fra le ginocchia. Dopo tanto rimuginare nella notte, Carmela si era decisa: doveva parlare con zi Peppe per esporgli il fatto. Vestitasi in fretta e furia, alle prime luci dell’alba si era avviata verso la casa dell’anziano.
Dal portamento deciso e di corporatura robusta, con i capelli raccolti in una treccia e avvolti in un fazzoletto, quella mattina mostrava una faccia bianca come le uova che portava al braccio nel paniere.
Giunta a destinazione, aveva bussato alla porta, precisando: <<Sono Carmela, la figlia di Giannino>>.
Entrata in casa corrucciata, e scura in volto, rimaneva in silenzio. Zi Peppe, dopo averla scrutata, le aveva fatto segno di sedersi sulla sedia di fronte a lui. Sul tavolo c’erano una candela e un mazzo di carte, e al loro lato aveva poggiato lo scialle e le uova.
Il fuoco lasciato acceso dalla sera prima emanava una piacevole sensazione di tepore che la quietava un poco. Poteva essere l’effetto della fiamma del camino, ma si avvertiva una luce strana: un giallo ocra intenso che colorava le pareti ed evidenziava nella stanza una luminosità misteriosa.
<< Zi Pè, voglio un figlio! Ma non viene >> aveva detto tutto d’un fiato.
L’uomo continuava a guardarla attentamente, quasi a volerle leggere i pensieri, poi, senza dire niente, si era girato a controllare un vasetto sigillato. Mentre lo apriva un odore acre e pungente si diffondeva nella stanza. Estratto con cura un liquido biancastro, a voce bassa e a mo’ di cantilena ripeteva una formula magica. Le parole uscivano lentamente, lo sguardo distante come se fissasse un punto altrove.
<< Questo filtro ha il potere di generare. La potenza è un dono che pochi possiedono. Devi assumerla la prima sera di luna piena>> aveva pronunciate quest’ultime parole mentre le porgeva la porzione.
Carmela sedeva ammutolita a considerare, mentre negli occhi si accendeva una gioia di speranza: riportava vita in un fiore appassito, faceva sbocciare l’albero fuori stagione.
Il sole tramontava dietro gli alberi giocando a nascondino, ma le ore passavano lentamente nella prima notte di luna piena, senza che potesse calmarsi. Dopo aver sistemato la casa, sedeva accanto al focolare a guardare fuori dalla finestra. Si sentiva inquieta, faceva gli scongiuri, chiudeva gli occhi. La notte accendeva le sue stelle con una luna splendente, di quelle che fanno sognare gli innamorati. L’aria pungente la rincuorava. Raccolto un fiore e tenendolo in mano si inginocchiava, mentre lasciava che la porzione magica trasportasse i suoi benefici in un corpo impaziente.
Aveva camminato avanti e indietro per l’intera nottata, rigirando quelle parole nella testa: << Mio figlio crescerà bello. Lo vedrò camminare, farsi uomo, ricorderò ogni momento. Da me prenderà la bellezza, da lui la forza. Come saranno gli occhi, i capelli, a chi somiglierà?>>
Dopo quattro mesi, il filtro di zi Peppe aveva prodotto il miracolo: non c’erano più dubbi, Carmela era incinta.
Portava in giro con orgoglio la sua pancia e addirittura aveva fatto pace con le donne del paese; andavano e venivano dalla casa, non c’era modo di togliersele di torno. Le davano ammonimenti su tutto: “Stai attenta che la fortuna è arrivata, ma la disgrazia è dietro l’angolo! Chiedi sempre un assaggio di ogni cosa che vedi mangiare, altrimenti rimane la “voglia” al bambino. Non incrociare fili perché potrebbe affogarsi con il cordone ombelicale durante il parto. Non incrociare le mani sul ventre perché nascerebbe morto”.
Ma Carmela avrebbe voluto sapere, più di ogni altra cosa, se fosse nato maschio o femmina. Su questo argomento la discussioni rimaneva aperta, perché le donne non si accordavano: alcune consigliavano di preparare sicuramente il fiocco celeste, perché la notte di Natale avevano visto per primo un maschio; altre asserivano con altrettanta convinzione che sarebbe stata femmina, perché la pancia era ampia e tonda.
Dopo nove mesi di attesa, finalmente, aveva dato alla luce un bel maschietto. C’era voluta una settimana per far finire la processione delle donne: lo volevano baciare, allungavano le mani per accarezzarlo, insomma, non davano pace a quel bambino. E di nuovo continuavano gli avvertimenti: “Per avere più latte bevi brodo di gallina, per le coliche del pancino usa fiori di campo, dopo la poppata batti sul petto per il ruttino”.
Carmela era troppo felice, lo teneva sempre in braccio, aveva attaccato alla culla un cuoricino, un dente di cinghiale e una manina che faceva le corna: per tenere lontano il malocchio. Con voce dolce cantava la ninna nanna al suo bambino tutte le sere.
Il padre, tutto allegro, quando tornava a casa gli faceva carezze tenere, sapeva quanto aveva desiderato un figlio…
Ma, in famiglia, nessuno aveva quel naso e i lobi attaccati!