Sapri e la violenza sulle donne: Il sonno di una città che scoraggia
di Sabina Greco
Sarà per colmo di sconforto, ma da quel giorno i pensieri, infausta sorte, non la piantano di trascinarsi fra le rovine di quella Storia di un uomo inutile di Gor’kij, come Pallino randagio e ustionato a frugare nelle pattumiere di una viuzza del centro di Mosca prima dell’epifania esculapiana. Evsej, il giovane orfano e protagonista, consegnato all’abbrutimento e alla miseria della società del tempo, mai sgombra nemmeno lei di delitti, pestaggi, sesso sordido e clandestino, è costretto a lasciare la campagna, luogo tragico immerso nella superstizione e nell’alcolismo, per fare il commesso in un negozio di libri usati in una città dai destini egualmente tristi, a evocare qui Barbero…
alloggetti soffocanti, odore di chiuso e di cattiva cucina, finestre mai spalancate, botteghe umide e polverose, gente sempre stanca, bagnata di pioggia e inzaccherata di fango.
Una storia ai margini di sguardi ardenti, svegli e accoglienti. Una storia di periferia, la violenza sulle donne a Sapri, nell’espressione della signorina aperta e cordiale, impiegata alla Pro loco e chiamata la mattina stessa di un 25 novembre appena trascorso a traghettare l’evento dall’ente, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, ivi organizzato: la seconda edizione di una Mostra Fotografica d’autore e amatoriale per sensibilizzare la cittadinanza sull’argomento. Una scelta evidentemente meditata, deliberata, mirata, quella di trattare l’affare in periferia, un dappertutto che è nessun luogo, nell’immaginazione di Francesco Perego in Periferie oggi, un non luogo, il resto, l’altro dalla città, espressione di disordine, bruttezza e irriconoscibilità. Come la violenza che ogni giorno si presenta a quelle come noi, altra, confusa, brutale, mascherata. Quelle stesse che a Sapri nel ricordo alloggiano e sono accolte nell’abbraccio asciutto di un istituto buio, tetro, deserto, ai tempi animato dalle risa e dal vocio di giovani qui istruiti, e addossato a una Chiesa Santa Croce, obliata perla in stile gotico, venerata officiante matrimoni ieri è oggi interdetta allo sguardo, il più sommesso, abbandonata ai destini di un’inesorabile consunzione in ogni sede, anche la più santa… a vegliare solo lei, sull’antica sponda dirimpetto, la muta Torre della Specola, l’Osservatorio astronomico, che nel suo immenso silenzio assordante è a struggersi di nostalgia di un tempo in cui gli astri assai lontani ebbe a contemplare.
A rigare il silenzio di un luogo altro dalla città in cui si è trovato per noi il posto ci pensa una statale diciotto che conduce genti assorte e affaccendate in centro, il suo cuore pulsante, e fuori: il Lungomare, Piazza San Giovanni, Piazza Plebiscito, il Buon Pastore, la Villa Comunale e il Palazzo di Città che nell’Aula Consiliare è lesto a ospitare qualsivoglia evento bendisposto… dalla presentazione ingrassata di tricolori e mimose di un modello in scala della nuova statua della Spigolatrice a quella del libro di Giuseppe Signori, già vice campione del mondo, capocannoniere recidivo in Serie A, illustre vesti.
Penetrando il quadro di una scelta, la violenza sulle donne, già materia, vissuto, realtà fra di noi al di là delle parole, è a smarrire finanche la dignità di un enunciato “tema importante a violare vergognosamente i diritti umani” perché sgradevolmente
ailluminare d’una luce cruda dettagli che noi cultori, più civilizzati, siamo stati addestrati a considerare troppo orribili o troppo intimi per finire a palazzo, in aula consiliare, in pieno centro, e uno spettatore dovrà stringere i denti e fors’anche tapparsi il naso per arrivare alla fine dell’esposizione,
rievocando bizzarramente il recensore di Gor’kij sul New York Times d’inizio Novecento. Ne discende, in altri termini, che una marginalità, ovvero la questione di accesso limitato, incerto e condizionato ai luoghi centrali offerti dalla città, dai cuori, dalle menti non è della donna qui maltrattata ma essenzialmente di una società, compatta e tutt’intera, che riproduce codici e informazioni di una cultura di violenza intimamente già perversa e si ostina immancabilmente a condannare e puntare il dito su quell’uno appariscente, criminale e deviato, ignorante e alienato. Voglia Dio che la coscienza possa distaccarsi un giorno, come il romanzo di Gor’kij all’improvviso, da un atmosfera tradizionale e involarsi in una dimensione inattesa, un vero colpo di scena.
Sabina Greco