21 Novembre 2024

dal web: https://www.italiaoggi.it

I Comuni non possono penalizzare i non residenti rispetto ai residenti, imponendo tariffe elevate per il pagamento della Tari, non correlate alla produzione dei rifiuti. E’ illegittimo il regolamento comunale che non rispetti il principio di proporzionalità

I Comuni non possono penalizzare i non residenti rispetto ai residenti, imponendo tariffe elevate per il pagamento della Tari, non correlate alla produzione dei rifiuti. E’ illegittimo il regolamento comunale che non rispetti il principio di proporzionalità. La tassa, infatti, non può gravare in misura eccessiva e irrazionale su coloro che producono meno rifiuti. E’ quanto ha affermato la commissione tributaria regionale della Toscana, sezione seconda, con la sentenza 26/2022. Per i giudici d’appello, “abitando i residenti con continuità nel territorio comunale, la logica vuole che gli stessi vi producano ben più rifiuti di coloro che invece, a parità di condizioni abitative, vi ci soggiornano solo per periodi di tempo limitati o saltuari”. A maggior ragione “in una località turistica a vocazione balneare prettamente stagionale, dove è normale immaginare che i non residenti siano mediamente assenti per la maggior parte dell’anno”.

L’applicazione del metodo presuntivo, per la commissione regionale, “trova un limite laddove comporti che taluni contribuenti si facciano carico di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”. La ratio della pronuncia in esame è che la tassa, la quale ha la finalità di coprire i costi del servizio svolto in regime di privativa dall’amministrazione comunale, non può gravare in misura eccessiva e irrazionale su coloro che producono meno rifiuti.

In passato, anche il Consiglio di Stato, quinta sezione, con la sentenza 4223/2017, ha sostenuto che il principio di proporzionalità, cui si deve conformare la discrezionalità amministrativa nell’individuazione delle tariffe, porta a ritenere non legittimo un criterio di determinazione che risulti “più gravoso per le abitazioni dei non residenti rispetto a quelle di coloro che dimorano abitualmente nel comune”. Del resto, è evidente che abitando i residenti con continuità nel territorio comunale, gli stessi vi producano ben più rifiuti di coloro che, invece, soggiornano negli immobili occupati solo per brevi periodi. I non residenti sono, normalmente, assenti per la maggior parte dell’anno. In realtà, la questione del trattamento fiscale dei contribuenti non residenti ha da tempo formato oggetto di dibattito, a proposito del pagamento della tassa che deve essere rapportata anche al numero di coloro che occupano l’immobile. La Cassazione (sentenza 8383/2013) ha ritenuto legittima la determinazione della quota variabile della Tia (la stessa disciplina si applica alla Tari) per le seconde case in base al numero degli occupanti, desunto dalla superficie dell’immobile. Questa presunzione, per i giudici di legittimità, è ammessa qualora non sia possibile conoscere il numero dei soggetti che di fatto utilizzano l’immobile. Dunque, non è irragionevole il ricorso al metodo proporzionale basato sulla superficie del bene: più ampia è la superficie, maggiore è il numero di coloro che si presume occupano l’immobile. Spetta al contribuente fornire gli elementi di prova idonei a dimostrare l’infondatezza della presunzione. In senso contrario, al riguardo, si era espresso il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna (sentenza 551/2012), che ha giudicato ingiustificabile la suddetta presunzione, adottata solo perché il dato reale è difficile da accertare attraverso le risultanze anagrafiche. Può accadere, in effetti, che un immobile di notevole ampiezza sia utilizzato da un numero ristretto di occupanti. Il criterio adottato dall’ente locale, secondo il Tar, crea solo una discriminazione tra residenti e non residenti. Per i primi la tariffa è correttamente ancorata a un elemento concreto, quello cioè del numero degli occupanti desunto dalle risultanze anagrafiche.

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